DOPPIA LUCE

doppialuce_new

Diane Arbus ha detto: “Una fotografia è un segreto che parla di un segreto. Più essa racconta, meno è possibile conoscere”
Doppia Luce è una scommessa.
Doppia Luce è un atto di fiducia.
Due persone – fotografo e soggetto. Due scatti. Due domande.
Si lavora su pellicola, in bianco e nero. Lo strumento: una Rolleiflex 2.8F.
Non c’è un set, non è un ritratto in studio.
CHI SEI?
COSA FAI?
Alla prima domanda risponderà il fotografo mostrandovi semplicemente ciò che già sapete: chi è la persona ritratta.
Ma l’identità è più che un nome ed un cognome, è più di un mestiere.
Ciò che siamo è ciò che facciamo?
È questo il segreto che tenteremo di svelare…

Diane Arbus said: “A picture is a secret about a secret, the more it tells you the less you know”
Doppia Luce is a bet.
Doppia Luce is an act of faith .
Two people – photographer and subject. Two shots. Two questions.
Working on film, b&w. Camera: Rolleiflex 2.8F.
No set, not a studio portrait
WHO ARE YOU?
WHAT DO YOU DO?
The Photographer will answer at the first question telling what you already know: who is the person portrayed.
But identity is more than a name and a job.
What we are is what we do?
That’s the secret we try to unveil…

 

CHI SEI: Arnaldo Pomodoro – Scultore
CHI SEI: Arnaldo Pomodoro – Scultore
COSA FAI: Creo sculture, che siano cristalli, o nuclei, oppure occhi o fuochi, per la frontiera e per il viaggio, per la complessità, per l'immaginario. Nella mia casa di campagna ho una vecchia branda. E’ semplice, di tela grossa, da campeggio. Me l’ha regalata un amico. Nel tempo è come se avesse preso la mia forma, è diventata una sorta di rifugio, di cuccia. Quando mi sdraio li sto bene, riesco a concentrarmi, è il mio posto. Ad un metro e mezzo da terra ho una visione panoramica diversa, vedo tutto come se galleggiasse. Mi aiuta a creare un’atmosfera di sogno e io molte mie opere le penso li. Sono come proiezioni, sogni ad occhi aperti. In quella terra di mezzo che sta tra il reale e l’immaginario prendono forma le mie visioni. I miei occhi non sono mai fermi, corrono, indagano…soprattutto quando sono in mezzo a delle persone con cui non mi sento totalmente mio agio: allora inizio a vagare con lo sguardo, perché ho bisogno di cercare, di guardare con i miei occhi e cogliere una sfumatura del mondo che sento appartenermi di più. E’ come se fossi in perenne tensione: a volte è faticoso vivere così ma allo stesso tempo è ciò che mi da la spinta, l’energia per ciò che faccio.
COSA FAI: Creo sculture, che siano cristalli, o nuclei, oppure occhi o fuochi, per la frontiera e per il viaggio, per la complessità, per l’immaginario.

Nella mia casa di campagna ho una vecchia branda. E’ semplice, di tela grossa, da campeggio.
Me l’ha regalata un amico. Nel tempo è come se avesse preso la mia forma, è diventata una sorta di rifugio, di cuccia.
Quando mi sdraio li sto bene, riesco a concentrarmi, è il mio posto.
Ad un metro e mezzo da terra ho una visione panoramica diversa, vedo tutto come se galleggiasse.
Mi aiuta a creare un’atmosfera di sogno e io molte mie opere le penso li. Sono come proiezioni, sogni ad occhi aperti.
In quella terra di mezzo che sta tra il reale e l’immaginario prendono forma le mie visioni.
I miei occhi non sono mai fermi, corrono, indagano…soprattutto quando sono in mezzo a delle persone con cui non mi sento totalmente mio agio: allora inizio a vagare con lo sguardo,perché ho bisogno di cercare, di guardare con i miei occhi e cogliere una sfumatura del mondo che sento appartenermi di più.
E’ come se fossi in perenne tensione: a volte è faticoso vivere così ma allo stesso tempo è ciò che mi da la spinta, l’energia per ciò che faccio.

CHI SEI: Emilio Isgrò – Artista
CHI SEI: Emilio Isgrò – Artista
COSA FAI: credo di fare qualcosa e mi meraviglio io stesso che questo qualcosa cammini. In realtà credo di essere Emilio Isgrò, ma non ne sono sicuro al 100%. Per quanto tu abbia una struttura forte infatti, a un certo punto della vita è giusto che sia ciò che gli altri vogliono che tu sia. Non per cambiare la propria sostanza, la propria personalità, sia chiaro ma piuttosto perché negli altri ci rispecchiamo, sono le persone che ci guardano, che incontriamo che ad un certo punto ti fanno scoprire perché hanno realmente bisogno di te e tu di loro. Quindi per me la tua domanda si potrebbe porre in modo diverso "chi siamo? Cosa facciamo?" L’identità diventa più forte se messa in collegamento con altre identità. Sono contrario a una visione solistica dell’arte e della vita benché io sia molto concentrato su me stesso – ma se così non fosse non potrei fare l’artista, no? A volte sento la necessità di perdermi in quel che penso. L’artista agisce unicamente per proprio piacere: non in senso banale, io parlo del piacere intellettuale, di quello del vivere, di vedere altri sorridere per ciò che tu crei. Il vero impegno di un artista per me deve essere questo: contagiare con quel piacere tutti coloro che lo guardano. E’ un vero e proprio impegno politico in una società in mutamento. E poi continuo cosa posso dirti? Penso di essere una persona incline alla meraviglia. Per questo dico che a volte mi stupisco, anzi quasi sempre, di ciò che faccio non perché sia particolarmente importante, ma perché io per primo non mi aspetto di dar forma a certe cose. Mi impegno ad essere autentico, questo si, perché un artista anche se ha il dono dell’ambiguità, che è la sostanza dell’arte, deve perseguire un proprio disegno di autenticità e non dire mai ciò che non pensa. Anche quando è difficile. Anche quando ti rende “uno non allineato” A proposito, anche tu sei una non allineata…e allora sai che ti dico? Devi fare al meglio il tuo lavoro, e quando ti metteranno in disparte tu cerca di essere ancora più brava. La capacità di essere se stessi fino in fondo è la vera forza e se tu sei così quella attitudine non la sopprimi! E’ meglio perdere nella chiarezza che vincere al buio.
COSA FAI: credo di fare qualcosa e mi meraviglio io stesso che questo qualcosa cammini.

In realtà credo di essere Emilio Isgrò, ma non ne sono sicuro al 100%.
Per quanto tu abbia una struttura forte infatti, a un certo punto della vita è giusto che sia ciò che gli altri vogliono che tu sia. Non per cambiare la propria sostanza, la propria personalità, sia chiaro ma piuttosto perché negli altri ci rispecchiamo, sono le persone che ci guardano, che incontriamo che ad un certo punto ti fanno scoprire perché hanno realmente bisogno di te e tu di loro.
Quindi per me la tua domanda si potrebbe porre in modo diverso “chi siamo? Cosa facciamo?”
L’identità diventa più forte se messa in collegamento con altre identità.
Sono contrario a una visione solistica dell’arte e della vita benché io sia molto concentrato su me stesso – ma se così non fosse non potrei fare l’artista, no? A volte sento la necessità di perdermi in quel che penso.
L’artista agisce unicamente per proprio piacere: non in senso banale, io parlo del piacere intellettuale, di quello del vivere, di vedere altri sorridere per ciò che tu crei.
Il vero impegno di un artista per me deve essere questo: contagiare con quel piacere tutti coloro che lo guardano.
E’ un vero e proprio impegno politico in una società in mutamento.
E poi continuo cosa posso dirti? Penso di essere una persona incline alla meraviglia.
Per questo dico che a volte mi stupisco, anzi quasi sempre, di ciò che faccio non perché sia particolarmente importante, ma perché io per primo non mi aspetto di dar forma a certe cose. Mi impegno ad essere autentico, questo si, perché un artista anche se ha il dono dell’ambiguità, che è la sostanza dell’arte, deve perseguire un proprio disegno di autenticità e non dire mai ciò che non pensa. Anche quando è difficile. Anche quando ti rende “uno non allineato”
A proposito, anche tu sei una non allineata…e allora sai che ti dico?
Devi fare al meglio il tuo lavoro, e quando ti metteranno in disparte tu cerca di essere ancora più brava. La capacità di essere se stessi fino in fondo è la vera forza e se tu sei così quella attitudine non la sopprimi!
E’ meglio perdere nella chiarezza che vincere al buio.

CHI SEI: Gianni Berengo Gardin - Fotografo
CHI SEI: Gianni Berengo Gardin – Fotografo
COSA FAI: Faccio fotografie per raccontare il mondo che mi circonda. Dalla mattina alla sera per sessant’anni ho fotografato e continuo a fotografare. Lo faccio perché è l’unico modo che conosco per raccontare il mondo che mi circonda. Da sempre questa è stata la mia spinta, la voglia di testimoniare, di lasciare una memoria . Credo che tutto si possa fotografare: qualsiasi storia, qualsiasi situazione, decideremo poi se usare quelle immagini e come ma tutto, tutto si deve fotografare. Le faccio un esempio: il mio lavoro con Basaglia, entrare nei manicomi, documentare le storie, raccontare le persone, è stato duro, impegnativo, doloroso. Ma necessario. E’ stato un atto di denuncia e i malati capivano che lo stavamo facendo per loro, per migliorare la situazione, per cambiare qualcosa. Eravamo indecisi su quale utilizzo fare degli scatti ma poi la scelta di mostrarle si rivelò giusta, contribuì infatti alla stesura della Legge 180/78 Se guardo indietro posso dire che ci sono centinaia, migliaia di fotografie che non ho potuto scattare, non voluto, potuto.
COSA FAI: Faccio fotografie per raccontare il mondo che mi circonda.

Dalla mattina alla sera per sessant’anni ho fotografato e continuo a fotografare.
Lo faccio perché è l’unico modo che conosco per raccontare il mondo che mi circonda.
Da sempre questa è stata la mia spinta, la voglia di testimoniare, di lasciare una memoria .
Credo che tutto si possa fotografare: qualsiasi storia, qualsiasi situazione, decideremo poi se usare quelle immagini e come ma tutto, tutto si deve fotografare.
Le faccio un esempio: il mio lavoro con Basaglia, entrare nei manicomi, documentare le storie, raccontare le persone, è stato duro, impegnativo, doloroso. Ma necessario. E’ stato un atto di denuncia e i malati capivano che lo stavamo facendo per loro, per migliorare la situazione, per cambiare qualcosa.
Eravamo indecisi su quale utilizzo fare degli scatti ma poi la scelta di mostrarle si rivelò giusta, contribuì infatti alla stesura della Legge 180/78
Se guardo indietro posso dire che ci sono centinaia, migliaia di fotografie che non ho potuto scattare, non voluto, potuto.

CHI SEI: Ferdinando Scianna - Fotografo
CHI SEI: Ferdinando Scianna – Fotografo
COSA FAI: registro istanti – tengo memoria del mio passaggio attraverso il mondo – racconto la vita. La fotografia è prima di tutto memoria della vita e della propria esperienza di vita dentro al mondo. Tutte le mie fotografie, oltre a essere momenti di racconto del mio attraversare il mondo con una macchina fotografica in mano per raccontare una storia o per reagire ad un evento, sono un archivio di famiglia perché io c’ero - in ogni foto, - io c’ero. Ho iniziato a 21 anni con un libro che è stato il mio passaporto: sono venuto a Milano e sono diventato inviato per l’Europeo. Dopo Milano c’è stata Parigi e l’incontro con Henri Cartier Bresson che mi ha proposto di entrare nella Magnum. Ho avuto così modo di sperimentare ciò che ad oggi mi appassiona di più: la fotografia intesa come narrazione. Ho lavorato e lavoro alla costruzione di libri che portano avanti un’idea di letteratura ibrida in cui immagini e testi si intersecano per creare una nuova struttura di comunicazione. In qualche modo le fotografie che ho scattato scandiscono la mia vita a volte in maniera affascinante a volte in maniera dolorosa. Questo perché dopo cinquant’anni l’archivio di un fotografo è pieno anche di cose e persone che non ci sono più. Del resto la fotografia registra un istante, un’esperienza vissuta che è irripetibile e come è naturale che sia tutto cambia, non solo gli uomini ma anche i paesaggi e le storie e le situazioni. Spesso una foto diventa importante non perché è bella ma perché racconta qualcosa di importante che è avvenuto o una persona che non c’è più. Del resto non trovo niente di più inutile di una BELLA FOTO. Una foto deve essere BUONA: deve raccontare quello che vuole raccontare e qualcosa del fotografo che l’ha scattata. Per esempio, quando io morirò queste sue foto saranno un pezzo della mia vita, e della sua e in qualche modo anche di quella delle persone che le guarderanno. E’ un mestiere che ho vissuto con grande passione e che è stato una chiave della mia fortuna perché mi ha resto abbastanza felice, cosa non da poco. Per il resto, come diceva Gassmann: “abbiamo un grande avvenire alle nostre spalle” e io lo racconto con le mie immagini e le mie parole.
COSA FAI: registro istanti – tengo memoria del mio passaggio attraverso il mondo – racconto la vita.

La fotografia è prima di tutto memoria della vita e della propria esperienza di vita dentro al mondo.
Tutte le mie fotografie, oltre a essere momenti di racconto del mio attraversare il mondo con una macchina fotografica in mano per raccontare una storia o per reagire ad un evento, sono un archivio di famiglia perché io c’ero – in ogni foto, – io c’ero.
Ho iniziato a 21 anni con un libro che è stato il mio passaporto: sono venuto a Milano e sono diventato inviato per l’Europeo. Dopo Milano c’è stata Parigi e l’incontro con Henri Cartier Bresson che mi ha proposto di entrare nella Magnum.
Ho avuto così modo di sperimentare ciò che ad oggi mi appassiona di più: la fotografia intesa come narrazione.
Ho lavorato e lavoro alla costruzione di libri che portano avanti un’idea di letteratura ibrida in cui immagini e testi si intersecano per creare una nuova struttura di comunicazione.
In qualche modo le fotografie che ho scattato scandiscono la mia vita a volte in maniera affascinante a volte in maniera dolorosa.
Questo perché dopo cinquant’anni l’archivio di un fotografo è pieno anche di cose e persone che non ci sono più.
Del resto la fotografia registra un istante, un’esperienza vissuta che è irripetibile e come è naturale che sia tutto cambia, non solo gli uomini ma anche i paesaggi e le storie e le situazioni.
Spesso una foto diventa importante non perché è bella ma perché racconta qualcosa di importante che è avvenuto o una persona che non c’è più.
Del resto non trovo niente di più inutile di una BELLA FOTO. Una foto deve essere BUONA: deve raccontare quello che vuole raccontare e qualcosa del fotografo che l’ha scattata.
Per esempio, quando io morirò queste sue foto saranno un pezzo della mia vita, e della sua e in qualche modo anche di quella delle persone che le guarderanno.
E’ un mestiere che ho vissuto con grande passione e che è stato una chiave della mia fortuna perché mi ha resto abbastanza felice, cosa non da poco.
Per il resto, come diceva Gassmann: “abbiamo un grande avvenire alle nostre spalle” e io lo racconto con le mie immagini e le mie parole.

CHI SEI: Francesco Cito – Fotogiornalista
CHI SEI: Francesco Cito – Fotogiornalista
COSA FAI: racconto il mondo – cerco di capire l’uomo A muovermi non è l’esigenza di fare foto ma la volontà di conoscere, guardare con i miei occhi ciò che accade nel mondo, voglio essere presente laddove accade qualcosa e poterlo vivere in prima persona. Di base sento la necessità di andare a scoprire la mia verità senza aver bisogno di qualcuno che me la racconti in quanto sovente sono verità distorte per ovvi motivi di convenienza. Con questo non voglio dire che sia la mia la verità assoluta, ma è la mia verità e non sempre sento l'esigenza di divulgarla. Potrei anche non fotografare, potrei non avere la necessità di farlo, ma faccio il fotografo per lavoro, e quindi ho l'esigenza di distribuire e vendere il mio lavoro. Questo non toglie, che nel mio percorso di vita professionale, mi sia augurato che il risultato del mio lavoro, i miei racconti, servissero a smuovere le coscienze altrui, e aprire un ulteriore sguardo su avvenimenti non sempre raccontati nella loro vera natura. Ci sono stati momenti nella mia vita dove ho percepito che quello che avevo fatto, la storia che avevo portato alla luce, poteva aver davvero influenzato, cambiato, aperto lo sguardo di qualcuno su una verità diversa. Ricordo una volta: ero in Libano e stavo fotografando una ragazzina mutilata. Al terzo scatto lei mi lancia addosso qualcosa. Sono andato via con un groppo alla gola per non aver potuto spiegarle che la sua sofferenza non era per me un'occasione di sciacallaggio, ed il mio intento era di trasmettere ad altri il suo dolore. Anni dopo, durante una mia mostra sulla guerra, era esposta anche una delle foto fatte a quella sofferenza. Li di fronte a quello scatto, una bambina di 12- 13 anni, di scuola media, si soffermò più del dovuto a guardare quell'immagine atroce, tanto che la sua insegnante, credette che si sentisse male, che fosse rimasta impressionata da quel dolore, e le corse incontro, chiedendole se stesse bene. La risposta della bimba fu: No, no tutto bene, ma a noi queste cose in televisione non le fanno vedere….. Ecco, in qualche modo questo mi ha ripagato del dolore, del senso di impotenza o vergogna come vuoi chiamarla, che ho provato quando ho scattato quella foto…
COSA FAI: racconto il mondo – cerco di capire l’uomo

A muovermi non è l’esigenza di fare foto ma la volontà di conoscere, guardare con i miei occhi ciò che accade nel mondo, voglio essere presente laddove accade qualcosa e poterlo vivere in prima persona.
Di base sento la necessità di andare a scoprire la mia verità senza aver bisogno di qualcuno che me la racconti in quanto sovente sono verità distorte per ovvi motivi di convenienza.
Con questo non voglio dire che sia la mia la verità assoluta, ma è la mia verità e non sempre sento l’esigenza di divulgarla. Potrei anche non fotografare, potrei non avere la necessità di farlo, ma faccio il fotografo per lavoro, e quindi ho l’esigenza di distribuire e vendere il mio lavoro.
Questo non toglie, che nel mio percorso di vita professionale, mi sia augurato che il risultato del mio lavoro, i miei racconti, servissero a smuovere le coscienze altrui, e aprire un ulteriore sguardo su avvenimenti non sempre raccontati nella loro vera natura.
Ci sono stati momenti nella mia vita dove ho percepito che quello che avevo fatto, la storia che avevo portato alla luce, poteva aver davvero influenzato, cambiato, aperto lo sguardo di qualcuno su una verità diversa.
Ricordo una volta: ero in Libano e stavo fotografando una ragazzina mutilata.
Al terzo scatto lei mi lancia addosso qualcosa.
Sono andato via con un groppo alla gola per non aver potuto spiegarle che la sua sofferenza non era per me un’occasione di sciacallaggio, ed il mio intento era di trasmettere ad altri il suo dolore.
Anni dopo, durante una mia mostra sulla guerra, era esposta anche una delle foto fatte a quella sofferenza. Li di fronte a quello scatto, una bambina di 12- 13 anni, di scuola media, si soffermò più del dovuto a guardare quell’immagine atroce, tanto che la sua insegnante, credette che si sentisse male, che fosse rimasta impressionata da quel dolore, e le corse incontro, chiedendole se stesse bene. La risposta della bimba fu: No, no tutto bene, ma a noi queste cose in televisione non le fanno vedere…..
Ecco, in qualche modo questo mi ha ripagato del dolore, del senso di impotenza o vergogna come vuoi chiamarla, che ho provato quando ho scattato quella foto…

Chi sei: Guido Harari- Fotografo
Chi sei: Guido Harari- Fotografo
Cosa fai: mi innamoro – cerco di andare al di là dell’apparenza – scopro le persone dietro ai personaggi – racconto storie Per fotografare qualcuno o qualcosa, prima di tutto ti devi innamorare. Dentro di te deve scattare una molla che ti spinge verso l’altro: una scintilla di curiosità, di identificazione; un desiderio di non fermarsi alle apparenze e di scoprire e accogliere la persona dietro …al personaggio. Come fotografo per molti anni ho operato nell’ambiente musicale, sospinto da una passione – quella per la musica unita a quella per la fotografia – che non si accontentava di dischi e concerti: già a 12 anni volevo di più; volevo incontrare gli autori che amavo ascoltare o leggere e poi trovare un modo di raccontarle, un linguaggio. Allora ho scelto la fotografia, posando ben presto il mio sguardo anche su persone che con la musica avevano poco o nulla a che fare. Con le mie immagini non ho mai avuto la presunzione, o l’ambizione, di creare una specie di “memoria collettiva”. Ho seguito le mie passioni e le mie curiosità, sapendo di mettere insieme un mosaico che solo un pazzo, o un enciclopedista, avrebbe desiderato completo. Qui e là, in maniera frammentaria, ho tentato di fissare un’epoca di cui ho potuto afferrare solo la coda della cometa. A volte, soprattutto con i miei libri, ho desiderato restituire la parola ad artisti che non l’avevano più. Ecco, ad un certo punto del mio percorso, ho percepito che la macchina fotografica non mi bastava più: nessuno sguardo può abbracciare totalmente e profondamente una persona se non in pochi inappaganti frammenti. Così è nato il mio “fotografare senza macchina fotografica”, con i miei libri. Non volevo più fissare improbabili icone nel rettangolo di una fotografia, strappata tra mille moine e vuoti rituali. Cercavo un tempo lento ed un luogo che mi permettessero di far lievitare progetti, di far crescere conoscenza e approfondimento, forse anche una nuova “lingua” fatta anche di parole e di altro ancora. L’ho scoperto lavorando per tre anni, ogni giorno, con Fernanda Pivano, costruendo, smontando e rimontando una sua autobiografia per immagini, scavando nel suo sterminato archivio, guardando i negativi di suo marito, Ettore Sottsass, come se fossero i miei, cercando il mio sguardo in quello di altri autori, raccogliendo un vero e proprio “film” visuale, su cui Fernanda mi ha poi letteralmente dettato la sua lunga, incredibile avventura di vita. Questo genere di viaggio totale è poi proseguito con Fabrizio De André, e poi con Giorgio Gaber e ancora con Pier Paolo Pasolini, l’unico di questi grandi che purtroppo non ho avuto la possibilità di conoscere personalmente. E allora mi sono “inventato” un libro per conoscerlo. Viaggi che mi hanno permesso di accedere ad archivi senza fine, a documenti, diari, registrazioni, fotografie. Carne viva, per me ancora viva, e che viva deve restare. Se devo sintetizzare quello che faccio posso dirti che, in fin dei conti, cerco di lasciare una traccia del mondo che ho attraversato e amato, e di queste persone che hanno lottato e perfino pagato con la vita per renderlo migliore, cantando, scrivendo, immaginando un irrinunciabile ideale di Utopia senza il quale non esiste futuro.
Cosa fai: mi innamoro – cerco di andare al di là dell’apparenza – scopro le persone dietro ai personaggi – racconto storie

Per fotografare qualcuno o qualcosa, prima di tutto ti devi innamorare. Dentro di te deve scattare una molla che ti spinge verso l’altro: una scintilla di curiosità, di identificazione; un desiderio di non fermarsi alle apparenze e di scoprire e accogliere la persona dietro …al personaggio.
Come fotografo per molti anni ho operato nell’ambiente musicale, sospinto da una passione – quella per la musica unita a quella per la fotografia – che non si accontentava di dischi e concerti: già a 12 anni volevo di più; volevo incontrare gli autori che amavo ascoltare o leggere e poi trovare un modo di raccontarle, un linguaggio. Allora ho scelto la fotografia, posando ben presto il mio sguardo anche su persone che con la musica avevano poco o nulla a che fare.
Con le mie immagini non ho mai avuto la presunzione, o l’ambizione, di creare una specie di “memoria collettiva”. Ho seguito le mie passioni e le mie curiosità, sapendo di mettere insieme un mosaico che solo un pazzo, o un enciclopedista, avrebbe desiderato completo. Qui e là, in maniera frammentaria, ho tentato di fissare un’epoca di cui ho potuto afferrare solo la coda della cometa. A volte, soprattutto con i miei libri, ho desiderato restituire la parola ad artisti che non l’avevano più.
Ecco, ad un certo punto del mio percorso, ho percepito che la macchina fotografica non mi bastava più: nessuno sguardo può abbracciare totalmente e profondamente una persona se non in pochi inappaganti frammenti. Così è nato il mio “fotografare senza macchina fotografica”, con i miei libri.
Non volevo più fissare improbabili icone nel rettangolo di una fotografia, strappata tra mille moine e vuoti rituali. Cercavo un tempo lento ed un luogo che mi permettessero di far lievitare progetti, di far crescere conoscenza e approfondimento, forse anche una nuova “lingua” fatta anche di parole e di altro ancora. L’ho scoperto lavorando per tre anni, ogni giorno, con Fernanda Pivano, costruendo, smontando e rimontando una sua autobiografia per immagini, scavando nel suo sterminato archivio, guardando i negativi di suo marito, Ettore Sottsass, come se fossero i miei, cercando il mio sguardo in quello di altri autori, raccogliendo un vero e proprio “film” visuale, su cui Fernanda mi ha poi letteralmente dettato la sua lunga, incredibile avventura di vita.
Questo genere di viaggio totale è poi proseguito con Fabrizio De André, e poi con Giorgio Gaber e ancora con Pier Paolo Pasolini, l’unico di questi grandi che purtroppo non ho avuto la possibilità di conoscere personalmente. E allora mi sono “inventato” un libro per conoscerlo. Viaggi che mi hanno permesso di accedere ad archivi senza fine, a documenti, diari, registrazioni, fotografie. Carne viva, per me ancora viva, e che viva deve restare.
Se devo sintetizzare quello che faccio posso dirti che, in fin dei conti, cerco di lasciare una traccia del mondo che ho attraversato e amato, e di queste persone che hanno lottato e perfino pagato con la vita per renderlo migliore, cantando, scrivendo, immaginando un irrinunciabile ideale di Utopia senza il quale non esiste futuro.

CHI SEI: Erri De Luca – Scrittore
COSA FAI: invecchio – ascolto – mi tengo compagnia con la scrittura.

Ora come ora sto intraprendendo un’attività impegnativa: invecchiare.
Dico impegnativa perché il corpo se ne vorrebbe andare tranquillo, dimettersi dai propri doveri e invece il proprietario di quel corpo lo vuole mantenere in esercizio, attivo e dunque c’è un bel contrasto di interessi fra l’obsolescenza dell’impianto e l’inquilino.
L’ho sempre pensato, sin da bambino. Il mio corpo e la mia mente non sono mai andati d’accordo, ognuno andava per i fatti propri. Del resto il corpo è un animale antico, fatto per resistere a prove durissime, lo abbiamo ereditato da un mucchio di generazioni che lo hanno reso resistente ma anche precario. Non siamo fatti per arrivare a questa età – in qualche modo noi ora siamo sperimentali.
Dunque se mi chiedi cosa faccio io ti dico invecchiare – e non scrivere.
Forse perché non penso alla scrittura come un lavoro piuttosto è un modo per tenermi compagnia, una buona compagnia. A dire il vero, ancora oggi non mi spiego come le cose che scrivo possano piacere agli altri, sono talmente fatti miei che davvero non riesco a capire.. eppure, da lettore, è proprio quella l’emozione che cerco, quel “riconoscere qualcosa di mio” attraverso parole e storie e memorie altrui.
Quando accade significa veder affiorare in superficie cose di me che stavano chiuse la dentro, in fondo e che ancora non avevano trovato la forma per pronunciarsi.
Del resto sono uno che ascolta, mi viene naturale, come respirare.
Assorbo, e tutto ciò che mi tocca, che mi colpisce va a finire da qualche parte.
Per me fra i sensi l’udito è il più importante, è l’albero maestro. E’ attraverso le voci che sentivo provenire da altre stanze, dai luoghi che ho vissuto, attraversato che sono nate le mie storie. Tramite l’ascolto io posso vedere, toccare, assaggiare, odorare. L’ albero della conoscenza è l’udito, gli altri sensi sono diramazioni.

CHI SEI: Vivian Lamarque – Poetessa
COSA FAI: La guardatrice.

Faccio la scribacchina, faccio la giardiniera di davanzali, faccio la ritagliatrice di parole dai giornali, la costruttrice di finestrelle con tendine sui rettangoli vuoti lasciati dai francobolli, la portatrice d’acqua nei vasi altrui, la guardatrice da dietro i vetri di persone con ombrelli che aspettano il tram, la raccoglitrice di vetrini colorati sulla battigia, ecc. ecc. ecc.

CHI SEI: Bianca Pitzorno – Scrittrice
COSA FAI: l’artigiana

Sin da quando ho memoria ho sempre lavorato moltissimo con le mani: per aggiustare, per dipingere, per cucire (posso farti un cappotto con gli occhielli di stoffa e mi hanno detto che è il massimo della rifinitura!), me la cavo anche come imbianchino, elettricista e falegname! Non come idraulico.
L’unico elemento che più mi fa paura infatti è l’acqua: la temo perché è qualcosa che non domini, ti sfugge di mano, non la fermi.
Da piccola, parlo del dopoguerra, avrò avuto dieci o undici anni, c’erano delle bancarelle e mi ero messa in testa che io e le mie amichette dovevamo avere tutte una gonna uguale. Ho comprato non so quanti metri di questa stoffetta scozzese e …via! L’ho stesa sul pavimento, l’ho ritagliata andando a logica, senza avere nessun cartamodello come facevano mia madre e la sartina a giornata. Nello stesso periodo avevo anche iniziato a scolpire, o meglio a modellare. Avevo trovato una fabbrica di mattoni, li compravo crudi e me li portavo a casa nel sacchetto di juta. Plasmavo con l’argilla teste, oggetti, non che fossero belli poi eh…però insomma ci provavo.
La verità è che mi piace moltissimo modificare la materia, cambiarle forma. E’ questo che ho sempre fatto anche con la scrittura. Sì, perché anche la scrittura è materica. Se provi a pensare a un vocabolario come a una massa di mattoni crudi…ecco: tu hai tutte le parole a disposizione, sono lì per te, tu le combini a seconda della storia che vuoi scrivere e quando lo fai stai prendendo la materia, le parole appunto, e la stai plasmando, ricomponendo. In buona sostanza è sempre dare una forma diversa a qualcosa che in origine ne possedeva giù una propria.
Forse anche per questo non ho mai accettato di scrivere su commissione, salvo all’inizio qualche romanzo storico per una casa editrice scolastica, ma anche lì, mi davano soltanto un periodo, un’epoca, poi io mi potevo sbizzarrire con l’argomento, le trame, i personaggi. Ho bisogno di libertà in ogni cosa che faccio, se una storia mi viene in mente spontaneamente e sento che mi riguarda, la scrivo, altrimenti no.
Ho iniziato a scrivere per sfida, per gioco, per scherzo. Il mio capoufficio in RAI, Raffaele Crovi, un giorno mi disse “senta, ce la fa a scrivermi un romanzo di 120 pagine in un mese? Devo andare in stampa, uno degli autori mi ha dato buca…”. L’ho fatto. Siccome di giorno andavo in ufficio, lavoravo di notte, nel fine settimana, in ogni momento libero. Del resto, mi aveva messo in marrania. Sì, è un modo di dire che si usa in Sardegna “non mi mettere in marrania”, è una sorta di sfida, se tu proclami di poter fare una cosa, devi portarla a termine, è una questione d’onore! “marrano che lo fai!” ti dicono, provocandoti. E tu devi dar dimostrazione di essere in grado.
E’ stato il mio primo romanzo pubblicato. Comunque, da lì in poi non mi sono più fermata.
All’università mi ero formata come archeologa preistorica, e ho scavato col mio professore per qualche anno. Ma poi ho studiato cinema e televisione e ho lavorato anche per la TV, il teatro. Non si è trattato di scelte programmate, ma il risultato di incontri casuali. Sai quando si dice “la serendipità”? Tu cercavi qualcosa e incontri persone e situazioni che sono l’esatto contrario di ciò che cercavi eppure…ti conducono là dove è meglio per te. Ciò che ho fatto e quello che sono è dipeso da una serie di “circostanze” che mi hanno portato a fare cose a cui non pensavo ma che poi mi sono piaciute molto.
Ho vissuto, vivo, tante vite in una. Mi chiedi se ho un rimpianto? Forse quello di non avere studiato musica e di non saper suonare uno strumento. Ecco, questa è una cosa che mi piacerebbe da morire: creare musica.

CHI SEI: Moni Ovadia – Attore - autore
CHI SEI: Moni Ovadia – Attore – autore
COSA FAI: Lavoro per il bene comune – dico la verità più spietata con uno strumento che permette all’uomo di misurarsi, il teatro – faccio quello che ho scelto di essere e dunque di fare Vivo l’avventura di appartenere ad una storia antica, di portare avanti un lunghissimo cammino iniziato 4.000 anni fa: discendo da una famiglia ebraica, e quel codice etico per l’edificazione di una società di giustizia mi viene direttamente da un patto antico siglato da un popolo di schiavi e meticci, questa è il mio blasone. Per questo non cedo mai: le mie motivazioni non sono mai contingenti, hanno una profondità millenaria Ho scelto come espressione, come modo di comunicare una visione del mondo, lo strumento del teatro, perché mi consente di esprimermi con maggiore libertà, senza vincoli di linguaggi preordinati. Il teatro infatti, può dire la verità più spietata ma permette all’uomo di misurarsi senza giudizi morali, senza sovrastrutture. Mi sono sempre mosso controcorrente ma anche quando è stato difficile non mi è mai venuto in mente di dire “mi sarebbe piaciuto essere….” Perché in buona sostanza sono un outsider e faccio quello che ho scelto di essere e dunque di fare.
COSA FAI: Lavoro per il bene comune – dico la verità più spietata con uno strumento che permette all’uomo di misurarsi, il teatro – faccio quello che ho scelto di essere e dunque di fare

Vivo l’avventura di appartenere ad una storia antica, di portare avanti un lunghissimo cammino iniziato 4.000 anni fa: discendo da una famiglia ebraica, e quel codice etico per l’edificazione di una società di giustizia mi viene direttamente da un patto antico siglato da un popolo di schiavi e meticci, questa è il mio blasone. Per questo non cedo mai: le mie motivazioni non sono mai contingenti, hanno una profondità millenaria
Ho scelto come espressione, come modo di comunicare una visione del mondo, lo strumento del teatro, perché mi consente di esprimermi con maggiore libertà, senza vincoli di linguaggi preordinati.
Il teatro infatti, può dire la verità più spietata ma permette all’uomo di misurarsi senza giudizi morali, senza sovrastrutture.
Mi sono sempre mosso controcorrente ma anche quando è stato difficile non mi è mai venuto in mente di dire “mi sarebbe piaciuto essere….” Perché in buona sostanza sono un outsider e faccio quello che ho scelto di essere e dunque di fare.

CHI SEI: Guido Silvestri (Silver) – Fumettista
COSA FAI: Invento storie per me innanzitutto – racconto.

Per me inventare mondi, scenari, personaggi è sempre stato un rifugio. Le storie mi sono sempre piaciuto, amo ascoltarle quanto amo raccontarle.
Quelle che invento in buona sostanza, sono quelle che avrei voluto sentirmi raccontare.
Mi chiedi i motivi per in quali racconto storie…bhe, come è facile intuire forse, per sfuggire a una realtà che non mi piaceva troppo. Insomma, nei miei mondi immaginari c’era tutto quello che sognavo, che mi piaceva. La mia infanzia non è stata particolarmente triste né disagiata, ma neppure particolarmente felice, ho sempre avvertito il bisogno di estraniarmi rispetto a ciò che mi circondava.
Avevo amici, giocavo e passavo molto tempo con loro ma altrettanto amavo isolarmi per poter fantasticare e magari poi raccontare agli altri quello che avevo immaginato.
Quando ho iniziato io non c’erano scuole di fumetto, sono un’autodidatta. Si cercava di copiare gli altri, quelli che eran venuti prima di te. Lo dico perché penso sia importante guardare ciò che c’è stato, conoscerlo, e poi da li, da quei suggirimenti, creare un proprio stile. Un autore fra tutti che per me è stato grande fonte di ispirazione è Schultz, con i Peanuts. Ma non solo fra i fumettisti ho trovato esempi. Uno dei miei maestri è Woody Allen: non mi perdo mai nessun film anche quando qualcuno ha iniziato a storcere un po’ il naso….
La sua ironia è unica.
Insomma il mio è sicuramente un mestiere particolare, c’è da dire che se vuoi farlo bene è totalizzante: ti lascia pochissimo tempo per altro e in qualche modo io non mi sono mai sentito nel “flusso della vita”. In qualche modo la vita mi passava sopra, sotto o di lato. Le cose semplicemente mi passavano accanto mentre lavoravo, mi capitavano o capitavano ad altri e io in qualche modo mi sono sempre sentito un “imboscato” , un privilegiato. In qualche modo il mio mestiere è stato una specie di salvacondotto per non entrare mai veramente nella vita. Non sono un Peter Pan, bada bene. Vivo la mia età con tutta la consapevolezza che posso, ma raccontare è in fondo una sorta di esorcismo. Si può ridere di tutto, con intelligenza, in modo amaro anche. Ma se riesci a sorridere, significa che guardi le cose da un punto di vista eccentrico, in modo diverso rispetto agli altri e questa, in buona sostanza, può essere una salvezza: aiuta a ridimensionare ogni cosa.
Certo la prima regola è che bisogna saper ridere di se stessi innanzitutto, come insegna il caro vecchio Woody Allen.
Ah ! una volta l’ho incontrato sai? A New York, sotto la neve. E’ un’immagine che ho chiara in testa, sarà stato l’84, e mi è parso un piccolo miracolo. In qualche modo, ho scattato anche io una fotografia…

Chi sei: Sandrone Dazieri - Scrittore
CHI SEI: Sandrone Dazieri – Scrittore
Cosa fai: Mi occupo di tutto quello che ha a che fare con la scrittura, senza prevenzioni. Scrivo romanzi e racconti, così come sceneggiature e soggetti per la televisione, per il cinema e per la radio. Collaboro con le case editrici come editor, curo libri altrui quando ne vale la pena, tengo un blog, insegno saltuariamente, ho scritto dei fumetti e se possibile ne scriverò ancora. Mi aiuta il fatto di essere autodidatta, di aver imparato il mestiere partendo da quanto più in basso ci sia, le recensioni dei film per le riviste televisive a basso prezzo, film che spesso non avevo mai visto. Poi sono passato ai gialli, ai quiz, alle ricette e - dio mi perdoni - alle diete dimagranti. Per un certo periodo scrivevo anche oroscopi. Questo mi ha aiutato a non sentirmi mai un artista o un intellettuale, ma un artigiano, un falegname che pialla, liscia, taglia e inchioda. Uso le parole invece del legno, ma come tutti i bravi falegnami posso trarne un pianoforte o una bara, a seconda delle necessità.
COSA FAI: Mi occupo di tutto quello che ha a che fare con la scrittura, senza prevenzioni.

Scrivo romanzi e racconti, così come sceneggiature e soggetti per la televisione, per il cinema e per la radio. Collaboro con le case editrici come editor, curo libri altrui quando ne vale la pena, tengo un blog, insegno saltuariamente, ho scritto dei fumetti e se possibile ne scriverò ancora. Mi aiuta il fatto di essere autodidatta, di aver imparato il mestiere partendo da quanto più in basso ci sia, le recensioni dei film per le riviste televisive a basso prezzo, film che spesso non avevo mai visto. Poi sono passato ai gialli, ai quiz, alle ricette e – dio mi perdoni – alle diete dimagranti. Per un certo periodo scrivevo anche oroscopi. Questo mi ha aiutato a non sentirmi mai un artista o un intellettuale, ma un artigiano, un falegname che pialla, liscia, taglia e inchioda. Uso le parole invece del legno, ma come tutti i bravi falegnami posso trarne un pianoforte o una bara, a seconda delle necessità.

CHI SEI: Licia Troisi – Astrofisico e scrittrice
CHI SEI: Licia Troisi – Astrofisico e scrittrice
COSA FAI: un mucchio di cose ma soprattutto racconto storie Sono una mamma, una figlia, una moglie, un astrofisico e una scrittrice. Se mi avanza tempo decoro torte e faccio origami, ecco diciamo che non mi faccio mancare niente ma perché sono appassionata di un sacco di cose! Leggo tantissimo, altrimenti non scriverei, amo i fumetti, le serie televisive, adoro andare al cinema… Il mondo fantastico che trovi nelle mie storie mi appartiene da sempre, sin da quando ero piccola, e si mescola tantissimo al mondo dell’astrofisica pur rimanendo due lati della mia personalità ben distinti, distaccati. Nelle mie storie molti spunti arrivano dall’astronomia: per esempio i personaggi hanno i nomi arabi di stelle o magari al centro dell’intreccio c’è un oggetto astronomico, un sistema di Nova… Anche il metodo che applico alla scrittura è molto simile a quello che usavo quando studiavo: tonnellate di appunti, una precisa regola nello scrivere tutti i giorni un tot. di pagine ecc… Se devo dirti cosa mi caratterizza è sicuramente la curiosità verso l’ignoto, verso un mondo sconosciuto. Il primo ricordo legato a quello che poi è diventato il mio percorso di vita risale a quando avevo 11 anni: stavo a casa col mio babbo e ci stavamo vedendo un documentario sulla vita e le opere di Stephen Hawking. Si vedeva un campo profondo, cioè un’immagine del cielo molto distante, e c’erano tanti pallini che non erano stelle, erano galassie, e davanti una gallina che ti guardava… Nel documentario associavano gli studi di Stephen Hawking sulla natura dell’Universo e del tempo alla domanda "è venuto prima l’uovo o la gallina" ovvero è nato prima il tempo o l’universo? Ricordo questa sensazione ambivalente, da un lato mi faceva inquietudine quella maledetta gallina e dall’altro un po’ mi intrigava perché io pensavo che quelle erano domande che si facessero i filosofi non gli astrofisici…e da lì è incominciato questo interesse che poi ho concretizzato verso i tredici-quattordici anni quando ho cominciato a leggermi i libri divulgativi di Asimov. Sai cosa? io non volevo fare la scrittrice, io volevo fare la ricercatrice, volevo fare lo scienziato da bambina, la biologa, poi volevo fare la paleontologa, poi l’archeologa, poi la geologa, poi alla fine mi sono concentrata sull’astronomia …. Oggi tutto questo bagaglio lo riverso nelle storie fantasy che scrivo: mondi fantastici, creati dalla mia fantasia, mescolati a stelle e galassie e pianeti che esistono e di cui sappiamo qualcosa ma non tutto. Mi chiedi se faccio ciò che voglio: si, assolutamente si. E sono felice.
COSA FAI: un mucchio di cose ma soprattutto racconto storie

Sono una mamma, una figlia, una moglie, un astrofisico e una scrittrice. Se mi avanza tempo decoro torte e faccio origami, ecco diciamo che non mi faccio mancare niente ma perché sono appassionata di un sacco di cose!
Leggo tantissimo, altrimenti non scriverei, amo i fumetti, le serie televisive, adoro andare al cinema…
Il mondo fantastico che trovi nelle mie storie mi appartiene da sempre, sin da quando ero piccola, e si mescola tantissimo al mondo dell’astrofisica pur rimanendo due lati della mia personalità ben distinti, distaccati.
Nelle mie storie molti spunti arrivano dall’astronomia: per esempio i personaggi hanno i nomi arabi di stelle o magari al centro dell’intreccio c’è un oggetto astronomico, un sistema di Nova…
Anche il metodo che applico alla scrittura è molto simile a quello che usavo quando studiavo: tonnellate di appunti, una precisa regola nello scrivere tutti i giorni un tot. di pagine ecc…
Se devo dirti cosa mi caratterizza è sicuramente la curiosità verso l’ignoto, verso un mondo sconosciuto.
Il primo ricordo legato a quello che poi è diventato il mio percorso di vita risale a quando avevo 11 anni: stavo a casa col mio babbo e ci stavamo vedendo un documentario sulla vita e le opere di Stephen Hawking. Si vedeva un campo profondo, cioè un’immagine del cielo molto distante, e c’erano tanti pallini che non erano stelle, erano galassie, e davanti una gallina che ti guardava…
Nel documentario associavano gli studi di Stephen Hawking sulla natura dell’Universo e del tempo alla domanda “è venuto prima l’uovo o la gallina” ovvero è nato prima il tempo o l’universo?
Ricordo questa sensazione ambivalente, da un lato mi faceva inquietudine quella maledetta gallina e dall’altro un po’ mi intrigava perché io pensavo che quelle erano domande che si facessero i filosofi non gli astrofisici…e da lì è incominciato questo interesse che poi ho concretizzato verso i tredici-quattordici anni quando ho cominciato a leggermi i libri divulgativi di Asimov.
Sai cosa? io non volevo fare la scrittrice, io volevo fare la ricercatrice, volevo fare lo scienziato da bambina, la biologa, poi volevo fare la paleontologa, poi l’archeologa, poi la geologa, poi alla fine mi sono concentrata sull’astronomia ….
Oggi tutto questo bagaglio lo riverso nelle storie fantasy che scrivo: mondi fantastici, creati dalla mia fantasia, mescolati a stelle e galassie e pianeti che esistono e di cui sappiamo qualcosa ma non tutto.
Mi chiedi se faccio ciò che voglio: si, assolutamente si. E sono felice.

CHI SEI: Paolo Repetti – Editore
CHI SEI: Paolo Repetti – Editore
COSA FAI: ascolto - lavoro con le parole degli altri - non posso immaginare di fare altro. Faccio un mestiere che sta a metà strada fra il business e l’anima. Nessuna delle due cose prevale definitivamente sull'altra. Del resto è necessario essere un po’ “psicologo”: gli scrittori sono, tra gli esseri umani, quelli più fragili, più stravaganti, più eccentrici, narcisi a volte, e un editore deve rispettare questa fragilità mescolata a una sorta di onnipotenza e far sì che loro si trovino a casa - A ben pensarci ho comunque seguito quella che era la mia attitudine: ascoltare e mettere in relazione. Ho studiato per diventare psicanalista ma ben presto mi sono reso conto di essere candidato a una lunghissima carriera di paziente… Così un giorno mi sono trovato a entrare in una casa editrice: ho iniziato dal basso ma ho subito sentito che era un lavoro che mi assomigliava, che mi piaceva. Casualità e destino, potrei dirti che è un mix fra queste due cose il mio essere diventato editore. Oggi, con Severino Cesari, dirigiamo "Einaudi Stile libero": è stata la nostra scommessa. Quel nome porta in sé la libertà di scelta, una libertà un po’ anarchica, fatta di provocazione, di ricerca, di bellezza che è sempre stata il motore del nostro lavoro.
COSA FAI: ascolto – lavoro con le parole degli altri – non posso immaginare di fare altro.

Faccio un mestiere che sta a metà strada fra il business e l’anima. Nessuna delle due cose prevale definitivamente sull’altra.
Del resto è necessario essere un po’ “psicologo”: gli scrittori sono, tra gli esseri umani, quelli più fragili, più stravaganti, più eccentrici, narcisi a volte, e un editore deve rispettare questa fragilità mescolata a una sorta di onnipotenza e far sì che loro si trovino a casa –
A ben pensarci ho comunque seguito quella che era la mia attitudine: ascoltare e mettere in relazione.
Ho studiato per diventare psicanalista ma ben presto mi sono reso conto di essere candidato a una lunghissima carriera di paziente…
Così un giorno mi sono trovato a entrare in una casa editrice: ho iniziato dal basso ma ho subito sentito che era un lavoro che mi assomigliava, che mi piaceva. Casualità e destino, potrei dirti che è un mix fra queste due cose il mio essere diventato editore.
Oggi, con Severino Cesari, dirigiamo “Einaudi Stile libero”: è stata la nostra scommessa.
Quel nome porta in sé la libertà di scelta, una libertà un po’ anarchica, fatta di provocazione, di ricerca, di bellezza che è sempre stata il motore del nostro lavoro.

CHI SEI: Simona Vinci - Scrittrice
CHI SEI: Simona Vinci – Scrittrice
COSA FAI: ascolto – incontro storie – racconto persone Ascolto. Questa è la prima cosa. Ho sempre ascoltato tutto, forse troppo e infatti il mio udito è ipersensibile. Mi interessano le storie di tutti e in tutti i tempi, mi piace andare a caccia, ma senza piste, lasciarmi sorprendere da ciò che incontro. La lettura e la scrittura fanno parte di me da sempre, ho cominciato a capire le lettere dell’alfabeto a 4 anni e mi sono subito sembrate un’avventura straordinaria: poter comunicare con così tante persone, anche con quelle morte o non ancora nate, in quel silenzio mistico che produce la lettura, bellissimo. Non ho mai voluto altro che questo: leggere e scrivere, mettermi a disposizione delle voci che avevano intenzione di farsi raccontare e magari non ci riuscivano o non ci erano riuscite. Scrivo dunque da (quasi) sempre e pubblico da quando avevo 24 anni, ma la parte “esteriore” del mio mestiere, il mostrarsi, il “vendersi”, l’apparire, non mi è mai piaciuta, l’ho subìta con disagio quando ero più giovane e con il tempo e l’età ho imparato a non farmene ferire troppo ma a ricavarne il meglio, perché incontrare le persone, conoscerle, mi piace molto. Lo stesso continuo a credere che uno scrittore dovrebbe essere invisibile: non guardato, guardare.
COSA FAI: ascolto – incontro storie – racconto persone

Ascolto.
Questa è la prima cosa.
Ho sempre ascoltato tutto, forse troppo e infatti il mio udito è ipersensibile. Mi interessano le storie di tutti e in tutti i tempi, mi piace andare a caccia, ma senza piste, lasciarmi sorprendere da ciò che incontro. La lettura e la scrittura fanno parte di me da sempre, ho cominciato a capire le lettere dell’alfabeto a 4 anni e mi sono subito sembrate un’avventura straordinaria: poter comunicare con così tante persone, anche con quelle morte o non ancora nate, in quel silenzio mistico che produce la lettura, bellissimo. Non ho mai voluto altro che questo: leggere e scrivere, mettermi a disposizione delle voci che avevano intenzione di farsi raccontare e magari non ci riuscivano o non ci erano riuscite.
Scrivo dunque da (quasi) sempre e pubblico da quando avevo 24 anni, ma la parte “esteriore” del mio mestiere, il mostrarsi, il “vendersi”, l’apparire, non mi è mai piaciuta, l’ho subìta con disagio quando ero più giovane e con il tempo e l’età ho imparato a non farmene ferire troppo ma a ricavarne il meglio, perché incontrare le persone, conoscerle, mi piace molto. Lo stesso continuo a credere che uno scrittore dovrebbe essere invisibile: non guardato, guardare.

Chi sei: Federica Fracassi - Attrice
CHI SEI: Federica Fracassi – Attrice
COSA FAI: Tento rapporti con il mondo, tento incontri con altri esseri umani, ricerco la sfida, ma soprattutto imparo. Io, che sono sempre stata la prima della classe, ho scelto di recitare nonostante a scuola di teatro mi avessero bocciata due volte. Proprio dove avevo fallito ho puntato le mie fiches. Penso che si possa crescere solo affrontando ciò che ci spaventa. Da piccola ero chiusa, faticavo a interagire. Mi sentivo sempre inadeguata. Eppure ho sempre creduto negli altri e sentito la necessità di aprire le braccia. Trovo che le persone siano meravigliose, tutte. Ognuna di loro con le proprie particolarità. Sono un continuo dono. Quando salgo sul palco cerco di regalare sempre un po’ di me e quindi, per quanto mi è possibile, cerco di dar vita a uno scambio, perché chi è seduto là davanti, anche senza saperlo, qualcosa me lo dà sempre. In fondo fare teatro è prima di tutto un incontro ed è questo che più amo fare nella vita: scoprire nuovi mondi, nuovi sguardi. C’è una lezione di vita a ogni angolo di strada e alla fine ciò che conta davvero per me è proprio questo: continuare ad imparare, non smettere mai.
COSA FAI: Tento rapporti con il mondo, tento incontri con altri esseri umani, ricerco la sfida, ma soprattutto imparo.

Io, che sono sempre stata la prima della classe, ho scelto di recitare nonostante a scuola di teatro mi avessero bocciata due volte. Proprio dove avevo fallito ho puntato le mie fiches. Penso che si possa crescere solo affrontando ciò che ci spaventa.
Da piccola ero chiusa, faticavo a interagire. Mi sentivo sempre inadeguata. Eppure ho sempre creduto negli altri e sentito la necessità di aprire le braccia.
Trovo che le persone siano meravigliose, tutte. Ognuna di loro con le proprie particolarità. Sono un continuo dono. Quando salgo sul palco cerco di regalare sempre un po’ di me e quindi, per quanto mi è possibile, cerco di dar vita a uno scambio, perché chi è seduto là davanti, anche senza saperlo, qualcosa me lo dà sempre.
In fondo fare teatro è prima di tutto un incontro ed è questo che più amo fare nella vita: scoprire nuovi mondi, nuovi sguardi.
C’è una lezione di vita a ogni angolo di strada e alla fine ciò che conta davvero per me è proprio questo: continuare ad imparare, non smettere mai.

CHI SEI: Alfredo Rapetti Mogol – Autore/pittore
CHI SEI: Alfredo Rapetti Mogol – Autore/pittore
COSA FAI: lavoro sul linguaggio – cerco di dare forma al pensiero – evoco sensazioni - tento di lasciare una traccia – ricerco l’onestà. Ho la fortuna di poter lavorare su ciò che più mi affascina: il linguaggio. Ci lavoro in modo emotivo, quindi attraverso la parola che è la radice di tutto il mio lavoro e si declina, da una parte nelle canzoni e dall’altra parte dipingendo parole che apparentemente non hanno senso. Alla base c’è la volontà di dare forma a pensieri, emozioni, momenti affinché non si perdano e diventino memoria. Senza scrittura infatti non lasceremmo segno su questa terra, non avremmo memoria di noi stessi. In ogni caso, qualsiasi forma si scelga per comunicare, per raccontare ciò che davvero conta è dire la verità. Le persone cercano la verità, l’onestà. Quando ne racconti un pezzetto arriva sempre, e colpisce. La verità è disarmante. E’ potente. Ed è l’unica cosa che dobbiamo ricercare e rispettare quando decidiamo di comunicare con il mondo.
COSA FAI: lavoro sul linguaggio – cerco di dare forma al pensiero – evoco sensazioni – tento di lasciare una traccia – ricerco l’onestà.

Ho la fortuna di poter lavorare su ciò che più mi affascina: il linguaggio.
Ci lavoro in modo emotivo, quindi attraverso la parola che è la radice di tutto il mio lavoro e si declina, da una parte nelle canzoni e dall’altra parte dipingendo parole che apparentemente non hanno senso.
Alla base c’è la volontà di dare forma a pensieri, emozioni, momenti affinché non si perdano e diventino memoria. Senza scrittura infatti non lasceremmo segno su questa terra, non avremmo memoria di noi stessi.
In ogni caso, qualsiasi forma si scelga per comunicare, per raccontare ciò che davvero conta è dire la verità. Le persone cercano la verità, l’onestà. Quando ne racconti un pezzetto arriva sempre, e colpisce. La verità è disarmante. E’ potente. Ed è l’unica cosa che dobbiamo ricercare e rispettare quando decidiamo di comunicare con il mondo.

CHI SEI: Luciano Fontana – Giornalista (Direttore Corriere della Sera)
CHI SEI: Luciano Fontana – Giornalista (Direttore Corriere della Sera)
COSA FAI: Quello che ho sempre sognato Sin da ragazzo ho sempre desiderato fare il giornalista, mi ritengo fortunato in quanto la mia passione è diventata il mio lavoro. Il percorso è stato lungo e complicato, soprattutto arrivando da una piccola realtà come quella di Frosinone, ma oggi posso dire di aver realizzato il mio sogno. Cosa fa un direttore? Tantissime cose certo, come si può immaginare deve pensare a organizzare il giornale, studiare progetti e nuove iniziative, dare indicazioni agli inviati in giro per il mondo. Ma prima di tutto deve essere una persona pronta al cambiamento. Un giornale è una realtà in continua evoluzione e mettersi in discussione è fondamentale. Bisogna esser pronti a cambiare opinione, guardare sotto una nuova luce fatti drammatici, a riscrivere pezzi alle due di notte perché magari arriva una notizia a quell’ora e dunque ci si ritrova tutti qui, intorno a un tavolo, a ridiscutere da capo il giornale della mattina successiva. E poi bisogna essere curiosi. Essere un buon giornalista significa non solo capire quale sia la notizia da dare ma anche cosa c’è dietro, come approfondirla, saper trovare spunti originali per poter dare al lettore qualcosa di nuovo e diverso da quanto ha già ascoltato in TV o letto su un social network. Io per esempio sono certo di avere una deformazione professionale: ascolto sempre tutto, guardo tutto, con l’idea di scoprire se magari anche dietro ad un avvenimento all’apparenza banale non si nasconda una notizia. Mia figlia a volte mi “sgrida”: dice che non riesco mai a guardare un fatto semplicemente per quello che è…. Talvolta è capitato che mi raccontasse magari qualcosa accaduto a scuola o a qualche conoscente e il giorno dopo trovasse un articolo di giornale proprio su quel fatto. Non posso farci niente: una notizia è qualcosa che prima non c’era e adesso c’è e si deve esser pronti a coglierla. Come giornalista sento di avere il dovere e la responsabilità di raccontare ciò che accade – si deve cercare di farlo con rispetto e senza cinismo, entrando nelle storie senza violare vite, passioni e sentimenti delle persone e se possibile cogliere quel dettaglio, quel particolare, quell’emozione che fanno di una cosa ordinaria qualcosa di straordinario. Ecco si, c’è un’altra cosa: sono mortalmente appassionato di dettagli perché credo facciamo la differenza fra un pezzo scritto bene, con cura ed entusiasmo e un pezzo ordinario…
COSA FAI: Quello che ho sempre sognato

Sin da ragazzo ho sempre desiderato fare il giornalista, mi ritengo fortunato in quanto la mia passione è diventata il mio lavoro. Il percorso è stato lungo e complicato, soprattutto arrivando da una piccola realtà come quella di Frosinone, ma oggi posso dire di aver realizzato il mio sogno.
Cosa fa un direttore? Tantissime cose certo, come si può immaginare deve pensare a organizzare il giornale, studiare progetti e nuove iniziative, dare indicazioni agli inviati in giro per il mondo. Ma prima di tutto deve essere una persona pronta al cambiamento.
Un giornale è una realtà in continua evoluzione e mettersi in discussione è fondamentale. Bisogna esser pronti a cambiare opinione, guardare sotto una nuova luce fatti drammatici, a riscrivere pezzi alle due di notte perché magari arriva una notizia a quell’ora e dunque ci si ritrova tutti qui, intorno a un tavolo, a ridiscutere da capo il giornale della mattina successiva.
E poi bisogna essere curiosi. Essere un buon giornalista significa non solo capire quale sia la notizia da dare ma anche cosa c’è dietro, come approfondirla, saper trovare spunti originali per poter dare al lettore qualcosa di nuovo e diverso da quanto ha già ascoltato in TV o letto su un social network.
Io per esempio sono certo di avere una deformazione professionale: ascolto sempre tutto, guardo tutto, con l’idea di scoprire se magari anche dietro ad un avvenimento all’apparenza banale non si nasconda una notizia. Mia figlia a volte mi “sgrida”: dice che non riesco mai a guardare un fatto semplicemente per quello che è….
Talvolta è capitato che mi raccontasse magari qualcosa accaduto a scuola o a qualche conoscente e il giorno dopo trovasse un articolo di giornale proprio su quel fatto. Non posso farci niente: una notizia è qualcosa che prima non c’era e adesso c’è e si deve esser pronti a coglierla.
Come giornalista sento di avere il dovere e la responsabilità di raccontare ciò che accade – si deve cercare di farlo con rispetto e senza cinismo, entrando nelle storie senza violare vite, passioni e sentimenti delle persone e se possibile cogliere quel dettaglio, quel particolare, quell’emozione che fanno di una cosa ordinaria qualcosa di straordinario. Ecco si, c’è un’altra cosa: sono mortalmente appassionato di dettagli perché credo facciamo la differenza fra un pezzo scritto bene, con cura ed entusiasmo e un pezzo ordinario…

CHI SEI: Sergio Spaccavento - Creativo, pubblicitario, autore televisivo, radiofonico e cinematografico, docente universitario, mitomane.
CHI SEI: Sergio Spaccavento – Creativo pubblicitario, autore televisivo, radiofonico e cinematografico, docente universitario, mitomane.
COSA FAI: Comunico, a volte faccio ridere, a volte faccio piangere, a volte faccio schifo. La vera verità è che faccio tanto perché sono un vigliacco, ho sempre timore che se non colgo un'occasione poi potrei pentirmi. Ovviamente questo comporta resistenza, dolore e sacrifici, ma alla fine del giorno se il bilancio tra sacrificio e successo tende leggermente al successo, allora vado a dormire (tardi) tranquillo. E statisticamente più si fa, più aumentano le chance, lo dice anche Donna Moderna di questo mese. Comunque sia quello che amo di più nel mio lavoro è creare un contatto vero con la gente e riuscire a farla emozionare, di qualsiasi emozione si tratti. Se avete tempo da buttare, guardate qui: sergiospaccavento.it
COSA FAI: Comunico, a volte faccio ridere, a volte faccio piangere, a volte faccio schifo.

La vera verità è che faccio tanto perché sono un vigliacco, ho sempre timore che se non colgo un’occasione poi potrei pentirmi. Ovviamente questo comporta resistenza, dolore e sacrifici, ma alla fine del giorno se il bilancio tra sacrificio e successo tende leggermente al successo, allora vado a dormire (tardi) tranquillo. E statisticamente più si fa, più aumentano le chance, lo dice anche Donna Moderna di questo mese. Comunque sia quello che amo di più nel mio lavoro è creare un contatto vero con la gente e riuscire a farla emozionare, di qualsiasi emozione si tratti. Se avete tempo da buttare, guardate qui: sergiospaccavento.it

CHI SEI: Massimo Bottura – Chef
CHI SEI: Massimo Bottura – Chef
COSA FAI: Il cuoco Il posto dove sono più a mio agio? La cucina Io cucino, ecco non ho molto altro da dire, il senso è tutto qui.
COSA FAI: Il cuoco

Il posto dove sono più a mio agio? La cucina
Io cucino, ecco non ho molto altro da dire, il senso è tutto qui.

CHI SEI: Cesare Battisti – Chef
CHI SEI: Cesare Battisti – Chef
COSA FAI: il cuoco Cucinare significa lavorare la materia prima, fare delle “cose vere”. Per questo e perché non sono per la cucina militarizzata ma per il gioco di squadra ci tengo a definirmi cuoco e non chef: mi interessa dare al mio cliente qualcosa che mangerei io per primo, creato assieme alle persone che lavorano per me e con me. Senza troppi “abbellimenti”, bado alla sostanza. Quando cucino sto creando un rapporto molto intimo con la persona che assaggerà i miei piatti. E’ un messaggio difficile da far passare ma vorrei che alle persone arrivasse questo: ogni pietanza che esce dalla nostra cucina è stata manipolata, pensata, creata apposta per te. Penso infatti che un ristorante debba essere prima di tutto un luogo dove star bene, dove rilassarsi e potersi lasciare la giornata alle spalle. Il senso del mio lavoro è in qualche modo passare una cultura culinaria fatta di tradizione si, ma anche di innovazione e di collaborazione. Ogni membro del mio staff è valore aggiunto e porta qui la propria esperienza e creatività. Lavoriamo tutti assieme per momenti pazzeschi come quello vissuto pochi giorni fa: un cliente si accomoda, lo accogliamo con un cartoccio di mondeghili e lui mi fa chiamare in cucina per dirmi, quasi con le lacrime agli occhi, “queste polpette le mangiavo da bambino….”
COSA FAI: il cuoco

Cucinare significa lavorare la materia prima, fare delle “cose vere”. Per questo e perché non sono per la cucina militarizzata ma per il gioco di squadra ci tengo a definirmi cuoco e non chef: mi interessa dare al mio cliente qualcosa che mangerei io per primo, creato assieme alle persone che lavorano per me e con me. Senza troppi “abbellimenti”, bado alla sostanza.
Quando cucino sto creando un rapporto molto intimo con la persona che assaggerà i miei piatti.
E’ un messaggio difficile da far passare ma vorrei che alle persone arrivasse questo: ogni pietanza che esce dalla nostra cucina è stata manipolata, pensata, creata apposta per te.
Penso infatti che un ristorante debba essere prima di tutto un luogo dove star bene, dove rilassarsi e potersi lasciare la giornata alle spalle.
Il senso del mio lavoro è in qualche modo passare una cultura culinaria fatta di tradizione si, ma anche di innovazione e di collaborazione. Ogni membro del mio staff è valore aggiunto e porta qui la propria esperienza e creatività.
Lavoriamo tutti assieme per momenti pazzeschi come quello vissuto pochi giorni fa: un cliente si accomoda, lo accogliamo con un cartoccio di mondeghili e lui mi fa chiamare in cucina per dirmi, quasi con le lacrime agli occhi, “queste polpette le mangiavo da bambino….”

CHI SEI: Pietro Leemann – Chef
CHI SEI: Pietro Leemann – Chef
COSA FAI: cerco di dare il mio contributo per migliore la società – propongo uno stile alimentare che rappresenta il presente con tutte le sue sfide – con ogni piatto racconto un viaggio La mia esperienza viene da lontano: ho iniziato come cuoco generalista per poi arrivare a fare ciò che mi rappresenta totalmente, ovvero il cuoco vegetariano, e c’è una bella differenza! Attraverso il cibo cerco di portare un messaggio per il futuro: essere vegetariano è un investimento dal punto di vista salutare, ambientale, spirituale. Il cibo è un messaggio democratico: accessibile a tutti. Mi piace l’idea di utilizzarlo non solo come nutrimento fisico ma anche morale e spirituale. Noi siamo ciò che mangiamo e mi piacerebbe rendere più riflessive e attente le persone su questo aspetto. Ho lavorato in varie parti del mondo e ho raccolto tutto: esperienze, odori, sapori, dimensioni. Qui al Joia cerco di portare questo bagaglio in ogni piatto di modo che venire a mangiare qui possa essere in qualche modo anche un viaggio. Il cibo può essere un veicolo di relazione multiculturale: avvicina le persone, infrange barriere. La cucina vegetariana fra l’altro è la più democratica di tutte perché mette d’accordo varie culture: quella Kosher, quella musulmana, quella indiana…… Nutrirsi consapevolmente è una scelta, come tale non deve essere imposta ma si deve raggiungere con serenità e conoscenza: qui al Joia diamo gusto, colore e sostanza a una filosofia di vita.
COSA FAI: cerco di dare il mio contributo per migliore la società – propongo uno stile alimentare che rappresenta il presente con tutte le sue sfide – con ogni piatto racconto un viaggio

La mia esperienza viene da lontano: ho iniziato come cuoco generalista per poi arrivare a fare ciò che mi rappresenta totalmente, ovvero il cuoco vegetariano, e c’è una bella differenza!
Attraverso il cibo cerco di portare un messaggio per il futuro: essere vegetariano è un investimento dal punto di vista salutare, ambientale, spirituale.
Il cibo è un messaggio democratico: accessibile a tutti. Mi piace l’idea di utilizzarlo non solo come nutrimento fisico ma anche morale e spirituale. Noi siamo ciò che mangiamo e mi piacerebbe rendere più riflessive e attente le persone su questo aspetto.
Ho lavorato in varie parti del mondo e ho raccolto tutto: esperienze, odori, sapori, dimensioni. Qui al Joia cerco di portare questo bagaglio in ogni piatto di modo che venire a mangiare qui possa essere in qualche modo anche un viaggio.
Il cibo può essere un veicolo di relazione multiculturale: avvicina le persone, infrange barriere. La cucina vegetariana fra l’altro è la più democratica di tutte perché mette d’accordo varie culture: quella Kosher, quella musulmana, quella indiana……
Nutrirsi consapevolmente è una scelta, come tale non deve essere imposta ma si deve raggiungere con serenità e conoscenza: qui al Joia diamo gusto, colore e sostanza a una filosofia di vita.

CHI SEI: Paolo Marchi – Giornalista, critico gastronomico
CHI SEI: Paolo Marchi – Giornalista, critico gastronomico
COSA FAI: traduco in realtà le mie visioni, non l’ho detto io ma un collega che stimo, Andrea Grignaffini. E cerco di non perdere tempo in cose o con persone che non mi interessano o stimo. Sulla Carta d’Identità, comunque, c’è scritto che faccio il giornalista, ed è vero: sono iscritto all’albo dei giornalisti ma dovendo definirmi dico, prima di tutto, che sono uno che ha saputo usare la propria fortuna. Soprattutto a livello di carattere nel pesare e giudicare gli altri. Si, perché ho avuto il privilegio di nascere in una famiglia dove i miei genitori facevano tante cose e tutte bene. Chi frequentava la loro casa si chiamavano Montanelli, Biagi e Bocca, c’era un pittore come Guttuso, ma anche campioni olimpici di sci come Thoeni e Gros. E’ stata una fortuna, ma nello stesso tempo significa portarsi addosso un’eredità importante, ingombrante. Per ricevere un bravo, dovevi esserlo per davvero. A 18 anni tre scenari: fotografia, cucina e giornalismo sportivo. Non sono fotografo perché Oliviero Toscani mi disse di non insistere. Mi disse che il talento, senza la tecnica, da solo non bastava. Per lo stesso motivo rinunciai a sei mesi di gavetta in uno stellato una 40ina di anni fa. Restava il giornalismo. Iniziai a collaborare al Corriere della Sera, al quale sarebbero seguito 31 anni al Giornale. Prima solo sport, poi anche la critica gastronomica, infine solo quest’ultima fino a mollare il posto fisso. Era il 2011. Penso di essere riuscito a dare il meglio di me, che non mi basta mai, non sono mai pienamente contento di quanto faccio, nel campo della gola perché era il solo mondo che non interessava ai miei genitori. Tra i loro amici non si contavano i cuochi, quelli che oggi tutti chiamano chef, spesso sbagliando. Finalmente avevo un mondo solo mio, da studiare, analizzare, godere e condividere senza dovermi preoccupare del confronto. Non mi sentivo costantemente sotto esame. Cosa non mi piace? Coloro che non danno il giusto valore alla buona tavola. Se c’è qualcosa dal quale l’essere umano non può prescindere, qualcosa di cui davvero non può fare a meno, quello è il cibo e con esso l’acqua. Sono essenziali, sono vita. Dico sempre che proprio perché non possiamo farne a meno, meglio mangiare bene, meglio informarsi. Ma non è così per tutti. Il mio sogno? Imparare per davvero a fotografare. Data la mia età, 61 anni, so che è cosa ben diversa dagli scatti fatti per i social.
COSA FAI: traduco in realtà le mie visioni, non l’ho detto io ma un collega che stimo, Andrea Grignaffini. E cerco di non perdere tempo in cose o con persone che non mi interessano o stimo.

Sulla Carta d’Identità, comunque, c’è scritto che faccio il giornalista, ed è vero: sono iscritto all’albo dei giornalisti ma dovendo definirmi dico, prima di tutto, che sono uno che ha saputo usare la propria fortuna. Soprattutto a livello di carattere nel pesare e giudicare gli altri.
Si, perché ho avuto il privilegio di nascere in una famiglia dove i miei genitori facevano tante cose e tutte bene. Chi frequentava la loro casa si chiamavano Montanelli, Biagi e Bocca, c’era un pittore come Guttuso, ma anche campioni olimpici di sci come Thoeni e Gros. E’ stata una fortuna, ma nello stesso tempo significa portarsi addosso un’eredità importante, ingombrante. Per ricevere un bravo, dovevi esserlo per davvero.
A 18 anni tre scenari: fotografia, cucina e giornalismo sportivo. Non sono fotografo perché Oliviero Toscani mi disse di non insistere. Mi disse che il talento, senza la tecnica, da solo non bastava. Per lo stesso motivo rinunciai a sei mesi di gavetta in uno stellato una 40ina di anni fa. Restava il giornalismo. Iniziai a collaborare al Corriere della Sera, al quale sarebbero seguito 31 anni al Giornale. Prima solo sport, poi anche la critica gastronomica, infine solo quest’ultima fino a mollare il posto fisso. Era il 2011.
Penso di essere riuscito a dare il meglio di me, che non mi basta mai, non sono mai pienamente contento di quanto faccio, nel campo della gola perché era il solo mondo che non interessava ai miei genitori. Tra i loro amici non si contavano i cuochi, quelli che oggi tutti chiamano chef, spesso sbagliando. Finalmente avevo un mondo solo mio, da studiare, analizzare, godere e condividere senza dovermi preoccupare del confronto. Non mi sentivo costantemente sotto esame.
Cosa non mi piace? Coloro che non danno il giusto valore alla buona tavola. Se c’è qualcosa dal quale l’essere umano non può prescindere, qualcosa di cui davvero non può fare a meno, quello è il cibo e con esso l’acqua. Sono essenziali, sono vita. Dico sempre che proprio perché non possiamo farne a meno, meglio mangiare bene, meglio informarsi. Ma non è così per tutti.
Il mio sogno? Imparare per davvero a fotografare. Data la mia età, 61 anni, so che è cosa ben diversa dagli scatti fatti per i social.

 

CHI SEI: Luigi Vignali (Gino) - Autore
CHI SEI: Luigi Vignali (Gino) – Autore
COSA FAI: mi riposo – osservo – vivo la serenità di chi sa di aver fatto ciò che desiderava fare. I creativi in pensione non ci vanno mai, così si dice, e in parte è vero. Però non c’è dubbio che dopo quarantacinque anni che fai questo mestiere è bello guardare gli altri che portano avanti la tua eredità. Ad oggi mi riposo e vivo la sensazione di grandissima tranquillità che viene dal sapere di avere fatto tutto ciò che volevo fare. Non ho più l’ansia di “dover fare” : mi vivo i rapporti che ho creato, le persone che ho conosciuto, frequentato, di cui sono amico. Ho avuto la fortuna di fare esattamente il lavoro che volevo fare: dai tempi del liceo ho inseguito caparbiamente questo obiettivo e sono persuaso che se si desidera veramente, fortemente fare qualcosa prima o poi ci si riesce. Oddio, poi va anche a fortuna eh? Si è sempre in due. Insomma, metti che io desidero fortemente Nicole Kidman non è detto che…. Comunque in sostanza, credo che la fortuna bisogna anche un po’ andare a cercarsela e spesso è frutto di caparbietà, vera volontà e determinazione.
COSA FAI: mi riposo – osservo – vivo la serenità di chi sa di aver fatto ciò che desiderava fare.

I creativi in pensione non ci vanno mai, così si dice, e in parte è vero. Però non c’è dubbio che dopo quarantacinque anni che fai questo mestiere è bello guardare gli altri che portano avanti la tua eredità.
Ad oggi mi riposo e vivo la sensazione di grandissima tranquillità che viene dal sapere di avere fatto tutto ciò che volevo fare. Non ho più l’ansia di “dover fare” : mi vivo i rapporti che ho creato, le persone che ho conosciuto, frequentato, di cui sono amico.
Ho avuto la fortuna di fare esattamente il lavoro che volevo fare: dai tempi del liceo ho inseguito caparbiamente questo obiettivo e sono persuaso che se si desidera veramente, fortemente fare qualcosa prima o poi ci si riesce.
Oddio, poi va anche a fortuna eh? Si è sempre in due. Insomma, metti che io desidero fortemente Nicole Kidman non è detto che….
Comunque in sostanza, credo che la fortuna bisogna anche un po’ andare a cercarsela e spesso è frutto di caparbietà, vera volontà e determinazione.

CHI SEI: Michele Mozzati - Scrittore
CHI SEI: Michele Mozzati – Scrittore
COSA FAI: invento cose – cerco di capire la vita – la racconto anche quando non la capisco troppo. Quando scrivo uso due chiavi - che sono poi le chiavi della vita: una è l’ironia o meglio il senso umoristico e comico della lettura della realtà, l’altra è il tragico che non credo vada spiegato. Ma forse ne esiste una terza: è la fantasia. Ovvero un altro modo di leggere la realtà, che serve per andare oltre, per giocare, per vivere con leggerezza. Leggerezza che non è da confondersi con la superficialità. In fondo non serve che un racconto sia reale al 100% basta che sia verosimile: si può raccontare la vita avvicinandosi alla realtà, magari forzandola anche, ma cogliendo l’anima e quella è vera. Faccio questo per lavoro e mi sento fortunato. Passiamo buona parte della nostra vita lavorando e credo davvero che sia una cosa bellissima poter fare della propria passione, del proprio hobby, un lavoro. Come scriveva Palazzesci: “Sono il saltimbanco dell’anima mia” - in sostanza ciò che faccio è raccontare quello che mi circonda e nel farlo mi diverto e, spero, faccio divertire. O pensare. O sognare.
COSA FAI: invento cose – cerco di capire la vita – la racconto anche quando non la capisco troppo.

Quando scrivo uso due chiavi – che sono poi le chiavi della vita: una è l’ironia o meglio il senso umoristico e comico della lettura della realtà, l’altra è il tragico che non credo vada spiegato.
Ma forse ne esiste una terza: è la fantasia.
Ovvero un altro modo di leggere la realtà, che serve per andare oltre, per giocare, per vivere con leggerezza. Leggerezza che non è da confondersi con la superficialità. In fondo non serve che un racconto sia reale al 100% basta che sia verosimile: si può raccontare la vita avvicinandosi alla realtà, magari forzandola anche, ma cogliendo l’anima e quella è vera.
Faccio questo per lavoro e mi sento fortunato. Passiamo buona parte della nostra vita lavorando e credo davvero che sia una cosa bellissima poter fare della propria passione, del proprio hobby, un lavoro.
Come scriveva Palazzesci: “Sono il saltimbanco dell’anima mia” – in sostanza ciò che faccio è raccontare quello che mi circonda e nel farlo mi diverto e, spero, faccio divertire. O pensare. O sognare.

CHI SIETE: Gino&Michele - autori
CHI SIETE: Gino&Michele – Autori
COSA FATE: scriviamo - coordiniamo - soprattutto inventiamo Sembrerebbe che facciamo vita bohemiènne in mansarde con poca luce o molta poesia. Invece più semplicemente facciamo quelli che scrivono o coordinano o inventano. Comicità (Zelig e altro), libri, eventi, Smemorande, insomma cose su cose. Per non fermarci troppo. Alleniamo il cuore e coltiviamo la mente. O viceversa. Godiamo di privilegi e ad altri rinunciamo. Ci occupiamo di chi ci sta intorno nella speranza che chi ci sta intorno continui a occuparsi di noi. Insomma viviamo.
COSA FATE: scriviamo – coordiniamo – soprattutto inventiamo

Sembrerebbe che facciamo vita bohemiènne in mansarde con poca luce o molta poesia. Invece più semplicemente facciamo quelli che scrivono o coordinano o inventano. Comicità (Zelig e altro), libri, eventi, Smemorande, insomma cose su cose. Per non fermarci troppo. Alleniamo il cuore e coltiviamo la mente. O viceversa. Godiamo di privilegi e ad altri rinunciamo. Ci occupiamo di chi ci sta intorno nella speranza che chi ci sta intorno continui a occuparsi di noi. Insomma viviamo.

CHI SEI: Enrico Bertolino - Comico
CHI SEI: Enrico Bertolino – Comico
COSA FAI: troppe cose ­ assaporo il mondo in ogni sua dimensione – cerco di star bene Una volta quelli come me venivano definiti “Iperattivi”. Da bambino mi cazziavano anche , ma io credo che concentrarsi eccessivamente su una sola cosa sia tempo perso. A me interessa tutto , provo tutto anche se così facendo non raggiungo mai l’eccellenza. Ma l’eccellenza è roba di pochi e a me va bene così e in ogni caso la coerenza non è parte dell’indole umana. Per dirti: prima ho fatto il bancario per dodici anni poi ho fatto il consulente per altrettanti, ho maturato i bollini per una pensione che non avrò mai perché poi continuano ad allungare i termini, ho una ONLUS in Brasile con 250 bambini ... Alla base di tutto il mio lavoro comunque c’è la socialità, lo stare con gli altri, osservarli. Senza gli altri non esiste confronto e senza confronto si finisce a far solo introspezione che se portata all’eccesso diventa lesiva. Mi chiedi se ho sogni nel cassetto: per me i sogni nel cassetto non esistono, sono una cazzata. Il sogno devi averlo come punto di riferimento, devi tenerlo sempre li davanti a te, sul tavolo.....solo così puoi pensare di realizzarlo.
COSA FAI: troppe cose ­- assaporo il mondo in ogni sua dimensione – cerco di star bene

Una volta quelli come me venivano definiti “Iperattivi”. Da bambino mi cazziavano anche , ma io credo che concentrarsi eccessivamente su una sola cosa sia tempo perso.
A me interessa tutto , provo tutto anche se così facendo non raggiungo mai l’eccellenza. Ma l’eccellenza è roba di pochi e a me va bene così e in ogni caso la coerenza non è parte dell’indole umana.
Per dirti: prima ho fatto il bancario per dodici anni poi ho fatto il consulente per altrettanti, ho maturato i bollini per una pensione che non avrò mai perché poi continuano ad allungare i termini,
ho una ONLUS in Brasile con 250 bambini…
Alla base di tutto il mio lavoro comunque c’è la socialità, lo stare con gli altri, osservarli. Senza gli altri non esiste confronto e senza confronto si finisce a far solo introspezione che se portata all’eccesso diventa lesiva.
Mi chiedi se ho sogni nel cassetto: per me i sogni nel cassetto non esistono, sono una cazzata. Il sogno devi averlo come punto di riferimento, devi tenerlo sempre li davanti a te, sul tavolo…..solo così puoi pensare di realizzarlo.

CHI SEI: Cecilia Resio - Poetessa
CHI SEI: Cecilia Resio – Poetessa
COSA FAI: Dico le cose come stanno – pratico la gentilezza – tendo all’incantamento – vivo con passione. Ho sempre cercato l’autenticità, in me stessa e negli altri. Mi piace dire le cose come le vedo, non come vorrei fossero o come vorrei fossero viste. Credo sinceramente che non ci sia bisogno di aggiungere per essere credibili. Se dovessi descrivere Cecilia, guardandomi da fuori, direi che è una che vive incantata: io vedo un oggetto, una persona, un luogo e immediatamente precipito in una sequenza veloce di altre idee, odori , cose accadute o non ancora accadute. Vivo al mio fianco. Credo di riuscire a scrivere quasi solo la verità su ciò che mi accade, su quello che vedo, che ho visto. La poetica della cronaca, la piccola bellezza che si nasconde nel quotidiano. E poi questa bellezza mi torna indietro: sono tante le persone che mi cercano ed è bello sentire di essere in qualche modo amata anche se, spesso, più che amata sono stata adorata. Un'adorazione quasi violenta, passeggera, con una vita breve. Lo dico senza vanità, succede così. Io nella mia scrittura ci metto tutto: amore, morte, passione, dolore, verità, paure, visioni. Tutto quello di cui sono fatta, tutto quello di cui è fatta forse la mia vita.
COSA FAI: Dico le cose come stanno – pratico la gentilezza – tendo all’incantamento – vivo con passione.

Ho sempre cercato l’autenticità, in me stessa e negli altri. Mi piace dire le cose come le vedo, non come vorrei fossero o come vorrei fossero viste.
Credo sinceramente che non ci sia bisogno di aggiungere per essere credibili.
Se dovessi descrivere Cecilia, guardandomi da fuori, direi che è una che vive incantata: io vedo un oggetto, una persona, un luogo e immediatamente precipito in una sequenza veloce di altre idee, odori, cose accadute o non ancora accadute. Vivo al mio fianco.
Credo di riuscire a scrivere quasi solo la verità su ciò che mi accade, su quello che vedo, che ho visto.
La poetica della cronaca, la piccola bellezza che si nasconde nel quotidiano.
E poi questa bellezza mi torna indietro: sono tante le persone che mi cercano ed è bello sentire di essere in qualche modo amata anche se, spesso, più che amata sono stata adorata. Un’adorazione quasi violenta, passeggera, con una vita breve. Lo dico senza vanità, succede così.
Io nella mia scrittura ci metto tutto: amore, morte, passione, dolore, verità, paure, visioni.
Tutto quello di cui sono fatta, tutto quello di cui è fatta forse la mia vita.

Chi sei: Andy Fluon - Musicista/Pittore
CHI SEI: Andy Fluon – Musicista/Pittore
Cosa fai: cerco il modo di bilanciarmi in questo pianeta – vivo – creo – ricerco – imparo.   Ho l’esigenza di muovermi secondo ciò che amo fare, è questo che mi nutre energeticamente, penso che il mio ruolo, il mio dovere sia quello di creare cose che possano emozionare gli altri. Il riuscire a smuovere emozioni, sensazioni mi consente di comunicare, di “dare.”… Mi muovo in ambiente diversissimi fra loro, frequento persone sempre differenti: dai ricchissimi ai poverissimi, dai centri sociali con delle idee brillanti alla casa dell’altolocato. In ogni contesto puoi incontrare persone che hanno qualcosa da insegnarti. Io personalmente però, credo di non aver nulla da insegnare: al massimo condivido. Se invece insegno qualcosa preferisco sentirmelo dire dagli altri, non cerco l’autocelebrazione. Non mi identifico in una sola forma d’arte: per me l’espressione passa attraverso un percorso creativo che può portarti ovunque. La cosa che conta è sentire l’esigenza di creare qualcosa: posso svegliarmi di notte e iniziare a lavorare e produrre magari una colonna sonora, un quadro, una sonorizzazione, un video, una canzone. Non lo so. Quello che so è che chi decide, per esempio, di acquistare una mia opera compie una vera e propria adozione. Sta portando a casa un po’ di me, della mia visione, del mondo che per me esisteva nel preciso momento in cui dipingevo. Io magari cambierò, e cambierà lo sguardo di chi lo osserva, ma l’opera resterà li, immutata. Ferma nel tempo. Esprimersi è, in buona sostanza, lasciare tracce di noi.
COSA FAI: Cerco il modo di bilanciarmi in questo pianeta – vivo – creo – ricerco – imparo. 

Ho l’esigenza di muovermi secondo ciò che amo fare, è questo che mi nutre energeticamente, penso che il mio ruolo, il mio dovere sia quello di creare cose che possano emozionare gli altri. Il riuscire a smuovere emozioni, sensazioni mi consente di comunicare, di “dare.”…
Mi muovo in ambiente diversissimi fra loro, frequento persone sempre differenti: dai ricchissimi ai poverissimi, dai centri sociali con delle idee brillanti alla casa dell’altolocato. In ogni contesto puoi incontrare persone che hanno qualcosa da insegnarti.
Io personalmente però, credo di non aver nulla da insegnare: al massimo condivido. Se invece insegno
qualcosa preferisco sentirmelo dire dagli altri, non cerco l’autocelebrazione.
Non mi identifico in una sola forma d’arte: per me l’espressione passa attraverso un percorso creativo che può portarti ovunque. La cosa che conta è sentire l’esigenza di creare qualcosa: posso svegliarmi di notte e iniziare a lavorare e produrre magari una colonna sonora, un quadro, una sonorizzazione, un video, una canzone. Non lo so. Quello che so è che chi decide, per esempio, di acquistare una mia opera compie una vera e propria adozione. Sta portando a casa un po’ di me, della mia visione, del mondo che per me esisteva nel preciso momento in cui dipingevo.
Io magari cambierò, e cambierà lo sguardo di chi lo osserva, ma l’opera resterà li, immutata. Ferma nel
tempo.
Esprimersi è, in buona sostanza, lasciare tracce di noi.

Chi sei: Klara Murnau - Detective (o Spia? )
CHI SEI: Klara Murnau – Detective (o Spia?)
Cosa fai: Come un novello Diogene, vado lanterna in mano, alla ricerca della verità. - Cerco di aiutare le persone e spesso provo a salvare il mondo nel mio piccolo. Lavoro per vincere il Nobel o, in alternativa, l’Oscar. Credo davvero che non si possa vivere senza verità e che sia qualcosa da custodire, da proteggere. Si deve avere coraggio e forza per vivere con coerenza, accettando le cose semplicemente per quelle che sono, senza rimaneggiarle. Nell’epoca dei social network, dove tutto è mistificazione “costruzione”, è sempre più raro trovare gente che abbia stile, che abbia appunto il coraggio di vivere la verità, di accettarla, di conviverci. Non mi accontento, non sopporto la mediocrità, lavoro per arrivare sempre al massimo livello in tutto quello che faccio. Il mediocre e l’assenza di stile, a mio parere sono i veri “mali” del mondo moderno. La sciatteria in tutte le sue forme è la nuova lebbra. Di sciatteria si può morire, infatti. L’asticella si è spostata talmente in basso che la qualità è diventata rara, rarissima, nelle cose come nelle persone. Ma per natura non sono portata al nichilismo, e riesco a trovare gemme di bello ed evoluzione anche dove spesso non si va a cercarle. Per questo grazie alla mia diabolica velleità di ricettattrice di anime, trovo miracoli di persone e ci creo alleanze, costruendo solide squadre. Una nuova lobby basata sull'individualismo collettivo. Ecco il potere: sapere esattamente chi si è e con che tipo di persone si vuole affrontare il mondo la fuori.
COSA FAI: Come un novello Diogene, vado lanterna in mano, alla ricerca della verità. – Cerco di aiutare le persone e spesso provo a salvare il mondo nel mio piccolo. Lavoro per vincere il Nobel o, in alternativa, l’Oscar.

Credo davvero che non si possa vivere senza verità e che sia qualcosa da custodire, da proteggere. Si deve avere coraggio e forza per vivere con coerenza, accettando le cose semplicemente per quelle che sono, senza rimaneggiarle.
Nell’epoca dei social network, dove tutto è mistificazione “costruzione”, è sempre più raro trovare gente che abbia stile, che abbia appunto il coraggio di vivere la verità, di accettarla, di conviverci.
Non mi accontento, non sopporto la mediocrità, lavoro per arrivare sempre al massimo livello in tutto quello che faccio. Il mediocre e l’assenza di stile, a mio parere sono i veri “mali” del mondo moderno. La sciatteria in tutte le sue forme è la nuova lebbra. Di sciatteria si può morire, infatti.
L’asticella si è spostata talmente in basso che la qualità è diventata rara, rarissima, nelle cose come nelle persone.
Ma per natura non sono portata al nichilismo, e riesco a trovare gemme di bello ed evoluzione anche dove spesso non si va a cercarle. Per questo grazie alla mia diabolica velleità di ricettattrice di anime, trovo miracoli di persone e ci creo alleanze, costruendo solide squadre. Una nuova lobby basata sull’individualismo collettivo. Ecco il potere: sapere esattamente chi si è e con che tipo di persone si vuole affrontare il mondo la fuori.

Chi sei: Simone Cristicchi - Cantautore
CHI SEI: Simone Cristicchi – Cantautore
Cosa fai:il restauratore Io sono un robivecchi, uno svuotacantine, uno che va a cercare nella polvere dei tesori nascosti, li ripulisce, li riaggiusta e…li ripropone poi sul mercato. Nello stesso tempo però sono un cantautore, un narratore, un “cantattore”. Sono costantemente alla ricerca, ho voglia di condividere con gli altri le storie che raccolgo, perché penso ne valga la pena, perché credo esistano storie che è doveroso ricordare. Di cui si deve parlare. Mi chiedi se sono fedele a me stesso: si, abbastanza. Ma sicuramente in questo spettacolo (Magazzino 18) c’è molto di me, c’è anzi tutto di me. Se penso ad un pubblico ideale mi viene da dire che sono i ragazzi, gli studenti. Perché sono ancora una pagina bianca, su cui si può imprimere qualcosa. E perché hanno ancora la capacità di stupirsi.
COSA FAI: Il restauratore

Io sono un robivecchi, uno svuotacantine, uno che va a cercare nella polvere dei tesori nascosti, li ripulisce, li riaggiusta e…li ripropone poi sul mercato. Nello stesso tempo però sono un cantautore, un narratore, un “cantattore”.
Sono costantemente alla ricerca, ho voglia di condividere con gli altri le storie che raccolgo, perché penso ne valga la pena, perché credo esistano storie che è doveroso ricordare. Di cui si deve parlare.
Mi chiedi se sono fedele a me stesso: si, abbastanza. Ma sicuramente in questo spettacolo (Magazzino 18) c’è molto di me, c’è anzi tutto di me.
Se penso ad un pubblico ideale mi viene da dire che sono i ragazzi, gli studenti. Perché sono ancora una pagina bianca, su cui si può imprimere qualcosa. E perché hanno ancora la capacità di stupirsi.

Chi sei: Andrea Robbiano – Attore
CHI SEI: Andrea Robbiano – Attore
Cosa fai : il teatrante – l’esploratore A dire la verità come categoria anagrafica i teatranti non esistono: ho insistito io per farlo mettere nella mia carta d’identità. E’ che le altre definizioni (attore, regista, insegnante – tutti ruoli che ricopro in effetti) mi fanno sentire scomodo, con delle responsabilità che non sono esattamente le mie. Un teatrante principalmente si occupa di incontrare persone, di conoscerle, di tentare di capirle. E’ l’incontro che mi ha salvato la vita: l’ho capito dopo tanti anni. Davanti a una birra, ad un tavolino di un bar qualsiasi, mi sono passate e mi passano davanti innumerevoli storie, volti, vite. Io sto li e non faccio altro che ascoltare, e parlare, e bere insieme, tutto questo mix pazzesco di emozioni e sensazioni. Ecco a volermi definire direi che sono un esploratore, sì, esploro persone. Forse ho sbagliato tutto: ho studiato Lettere ma avrei dovuto fare antropologia o sociologia. Perché è conoscere le persone che per me vale più di ogni altra cosa. E’ per questo che amo il teatro: perché al di la della recita, oltre il palcoscenico, ci sono esseri umani. C’è l’incontro con le loro impressioni, con le emozioni che hai suscitato. Ed è diretto, non c’è filtro. Insomma: io se non incontro persone, se mi si lascia solo un bel po’, ecco, rischio di morire. Ho bisogno di scambio – come diceva quello là in Trainspotting “Io mi faccio di gente”.
COSA FAI : Il teatrante – l’esploratore

A dire la verità come categoria anagrafica i teatranti non esistono:
ho insistito io per farlo mettere nella mia carta d’identità.
E’ che le altre definizioni (attore, regista, insegnante – tutti ruoli che ricopro in effetti) mi fanno sentire scomodo, con delle responsabilità che non sono esattamente le mie.
Un teatrante principalmente si occupa di incontrare persone, di conoscerle, di tentare di capirle.
E’ l’incontro che mi ha salvato la vita: l’ho capito dopo tanti anni.
Davanti a una birra, ad un tavolino di un bar qualsiasi, mi sono passate e mi passano davanti innumerevoli storie, volti, vite. Io sto li e non faccio altro che ascoltare, e parlare, e bere insieme, tutto questo mix pazzesco di emozioni e sensazioni.
Ecco a volermi definire direi che sono un esploratore, sì, esploro persone.
Forse ho sbagliato tutto: ho studiato Lettere ma avrei dovuto fare antropologia o sociologia.
Perché è conoscere le persone che per me vale più di ogni altra cosa.
E’ per questo che amo il teatro: perché al di la della recita, oltre il palcoscenico, ci sono esseri umani.
C’è l’incontro con le loro impressioni, con le emozioni che hai suscitato. Ed è diretto, non c’è filtro.
Insomma: io se non incontro persone, se mi si lascia solo un bel po’, ecco, rischio di morire.
Ho bisogno di scambio – come diceva quello là in Trainspotting “Io mi faccio di gente”.

Chi sei: Cesare Callegari - Scultore
CHI SEI: Cesare Callegari – Scultore
Cosa fai: il curatore di oggetti Se mi chiedi cosa faccio ti rispondo così: io curo, creo oggetti. La scultura per me è relativa a quello che è la lavorazione di una pietra mentre ogni oggetto che studio, penso e realizzo, è legato al pensiero: è qualcosa che nasce fra le mie mani per portare alla tridimensionalità sensazioni, stati d’animo, emozioni. Se ci pensi ogni cosa è già stata fatta o vista: è difficile creare qualcosa di veramente inedito, perciò ciò che tento di fare è creare un’idea, far prendere forma a ciò che sento. Non mi interessa che le persone mi dicano che ho realizzato un bell’oggetto, un “complemento d’arredo”: voglio che si chiedano invece che cosa mi ha spinto a realizzare quella scultura, che cosa significa, cosa rappresenta. Mi piacerebbe ecco, che le persone si interrogassero. L’indagine, la ricerca su se stessi è la chiave della vita, credo. Io non smetto mai di osservarmi e di osservare gli altri. Tento di capire i meccanismi della mente, impresa praticamente impossibile ma che porta a mettersi in discussione e in relazione con l’altro, dove per altro si intende il “diverso da sé”, e ciò diventa, inevitabilmente, arricchimento. Nelle mie opere cerco di tradurre questo in fondo: la continua ricerca, la volontà di scoprirmi e scoprire nuovi mondi, nuove realtà. Per qualcuno il mio “non riuscire a stare fermo” è un difetto, per me non è altro che l’essenza di ciò che sono: un viaggiatore, nel corpo e nella mente.
COSA FAI: Il curatore di oggetti

Se mi chiedi cosa faccio ti rispondo così: io curo, creo oggetti.
La scultura per me è relativa a quello che è la lavorazione di una pietra mentre ogni oggetto che studio, penso e realizzo, è legato al pensiero: è qualcosa che nasce fra le mie mani per portare alla tridimensionalità sensazioni, stati d’animo, emozioni.
Se ci pensi ogni cosa è già stata fatta o vista: è difficile creare qualcosa di veramente inedito, perciò ciò che tento di fare è creare un’idea, far prendere forma a ciò che sento. Non mi interessa che le persone mi dicano che ho realizzato un bell’oggetto, un “complemento d’arredo”: voglio che si chiedano invece che cosa mi ha spinto a realizzare quella scultura, che cosa significa, cosa rappresenta.
Mi piacerebbe ecco, che le persone si interrogassero.
L’indagine, la ricerca su se stessi è la chiave della vita, credo. Io non smetto mai di osservarmi e di osservare gli altri. Tento di capire i meccanismi della mente, impresa praticamente impossibile ma che porta a mettersi in discussione e in relazione con l’altro, dove per altro si intende il “diverso da sé”, e ciò diventa, inevitabilmente, arricchimento.
Nelle mie opere cerco di tradurre questo in fondo: la continua ricerca, la volontà di scoprirmi e scoprire nuovi mondi, nuove realtà. Per qualcuno il mio “non riuscire a stare fermo” è un difetto, per me non è altro che l’essenza di ciò che sono: un viaggiatore, nel corpo e nella mente.

CHI SEI: Nicola Gardini – scrittore e professore universitario
COSA FAI: ascolto – guardo – mi educo.

Muovo le dita: che sia per scrivere, disegnare, girare le pagine dei libri: sono uno scrittore, ma sono anche un lettore; insegno all’università, ma sono un eterno studente.
Leggere è ascoltare con gli occhi; parlare agli studenti è farli parlare.
Ecco, io ascolto: il desiderio di sentire gli altri è il vero motore di ogni mia azione.
Dall’ascolto nasce in me la voglia di esprimermi: attraverso il disegno, la pittura, la poesia, la narrazione, un saggio, un articolo di giornale… Cerco sempre e comunque un contatto con gli altri.
La mia propensione all’ascolto, all’incontro, ha prodotto anche equivoci, prima di tutto dentro di me. Non ho mai smesso di “aspettarmi amore”; non mi ci disabituo e non voglio farlo, e così è capitato che non fossi pronto a ricevere il male: in realtà anche quello va accolto, ascoltato, imparato.
Questo in fin dei conti faccio: aprirmi al mondo e accogliere tutto, anche il non amore.
Per farlo senza sentirsi smarriti è necessario conquistare la lucidità, il valore che più mi piacerebbe possedere. Essere lucidi significa anzitutto comprendere che cosa sentiamo: è il primo dovere che abbiamo nei confronti degli altri.
Aprirsi agli altri, guardare gli altri: non conosco altro modo per stare nella vita.


%