RESTANO I FIORI

L’identità che sopravvive alla tortura
Un progetto di Valentina Tamborra per Medici Senza Frontiere
C’è un prima, c’è sempre un “prima”.
C’è un luogo che abbiamo amato, una canzone che abbiamo ascoltato per ore, intonandola a mezza voce o cantandola a squarciagola, una ninna-nanna tramandata nel tempo, un oggetto portafortuna o al quale comunque siamo legati.
E poi c’è una fiaba con la quale siamo cresciuti, qualcosa che amavamo fare e ci faceva stare bene, semplicemente bene.
Piccole cose quotidiane, nulla di straordinario, ma sono memoria, sono serenità, sono casa.

Ma cosa accade quando l’indicibile irrompe?
Quando il nostro mondo si frantuma,
i valori in cui credevamo si dissolvono,
ciò che amavamo viene spazzato via,
e noi stessi ci sentiamo smarriti?
Quel “prima” esiste ancora?

Da questa domanda nasce “Restano i fiori”.

Perché la vita si può ricostruire anche così: con un fiore, con un sasso, con una candela.
Un fiore per ogni momento da ricordare
Un sasso per quelli che vorremmo dimenticare
Una candela, per le persone che abbiamo amato e perso.
Sassi, fiori, candele – insieme raccontano la nostra storia.
Un mosaico di fotografia, voce e scrittura per narrare una vita frammentata, ma ancora ricca di bellezza e di luce perché – nonostante tutto – “restano i fiori”.

A Palermo, Medici Senza Frontiere ha avviato un progetto dedicato all’assistenza e alla riabilitazione di persone migranti sopravvissute a torture e violenze intenzionali. In collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “Paolo Giaccone” e l’Università degli Studi di Palermo, il Dipartimento PROMISE (Promozione della Salute, Materno-Infantile, di Medicina Interna e Specialistica di Eccellenza) e la CLEDU (Clinica Legale per i Diritti Umani), il team di MSF gestisce un ambulatorio interdisciplinare rivolto a migranti e rifugiati. Il servizio offre supporto medico, psicologico, sociale e legale, sempre affiancato dalla mediazione interculturale, a una media di 76 pazienti attivi (dati 2024). I pazienti, provenienti da oltre venti paesi, hanno vissuto esperienze estreme di violenza, in particolare durante il transito in Libia.

Nel contesto di questo progetto, ho realizzato un lavoro collaborativo e multimediale dal titolo “Restano i fiori”- l’identità che sopravvive alla tortura. Il titolo del progetto trae ispirazione dalla linea della vita come elemento della Terapia espositivo-narrativa (NET Narrative Exposure Therapy ) utilizzata nel percorso psicoterapeutico per il recupero dal disturbo da stress post-traumatico.

L’obiettivo è ricomporre ciò che la tortura ha cercato di distruggere: l’identità. Il progetto intreccia fotografie, video, immagini Instax, testi scritti e tracce audio realizzate insieme ai pazienti, offrendo loro uno spazio in cui tornare protagonisti della propria narrazione, raccontandosi per ciò che sono, nella loro piena umanità. Ogni partecipante – tra cui figurano anche alcuni operatori dello staff – è stato invitato a condividere aspetti della propria vita e della propria storia: passioni, ricordi, sogni. Un invito a valorizzare gli elementi di bellezza e forza che continuano a esistere. Nonostante tutto.

 
 
 
 
 
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RESTANO I FIORI
L’identità che sopravvive alla tortura.

A Palermo, Medici Senza Frontiere porta avanti un progetto dedicato a persone migranti e rifugiate sopravvissute a torture e violenze intenzionali.
In collaborazione con l’Ospedale Universitario “Paolo Giaccone”, il Dipartimento PROMISE dell’Università di Palermo e CLEDU (Clinica Legale per i Diritti Umani), il team MSF offre un servizio interdisciplinare che comprende: assistenza medica, supporto psicologico, sostegno legale, mediazione interculturale, accompagnamento sociale.
Circa 76 pazienti attivi (dati 2024), provenienti da oltre 20 Paesi, ricevono cure e supporto dopo aver vissuto esperienze di estrema violenza, spesso durante la permanenza in Libia.
 
 
 
 
 
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KALIFA
“Ci sono tante persone che hanno affrontato quello che ho affrontato io e non ce l’hanno fatta. Posso dire che sono una persona fortunata: sono ancora vivo”.

Quando chiedo a Kalifa di raccontarmi una storia, qualcosa a cui tiene, il primo gesto che compie è quello di portarsi una mano al cuore. Un cuore nuovo, perché Kalifa ha subito un trapianto.
È arrivato in Italia in fin di vita dopo un viaggio che dal Gambia l’ha condotto in Senegal, in Mali e poi in Algeria e ancora in Libia.
C’è da chiedersi come abbia potuto resistere a tanto orrore questo ragazzo appena maggiorenne con gli occhi dolci e uno sorriso timido, che scrive canzoni per esprimere i propri sentimenti.
Sono testi dolorosi, ma carichi di speranza nonostante tutto.
Mi hanno dato un altro cuore, il mio non funzionava. Ci sono molte cose che non posso ancora fare, ma sono vivo, posso lavorare, vedere bei posti, godere ogni piccolo momento, perché sono vivo”.
Continua a ripetere: “sono vivo” Kalifa, come se neppure al suo stesso respiro riuscisse a credere.
Perché è anche questo che fa la tortura: distrugge la realtà, la fa a brandelli, prova a cancellare tutto ciò in cui credi. Eppure Kalifa e il suo cuore malandato sono arrivati fino a qui, in Italia. È con il suo cuore, non con un oggetto, che Kalifa dice di aver affrontato il viaggio. Ed è con un cuore nuovo che oggi affronta il futuro che verrà.

Kalifa (originario del Gambia) è arrivato all’ambulatorio di Palermo ad ottobre 2024.
Oggi vive in un centro di accoglienza, frequenta un corso da sarto, scrive canzoni e vorrebbe diventare mediatore culturale.